Barbarie o Cultura
L’infrastruttura invisibile del vivere
La cultura non è un settore. Non è una voce di bilancio, né un comparto da promuovere nei festival. La cultura è ciò da cui tutto prende forma. È il codice invisibile che struttura l’ambiente umano: dà senso all’agire, orienta i valori, stabilisce i confini del possibile. È ciò che tiene insieme una comunità — o la disgrega, quando viene meno.
La cultura è la vera infrastruttura della democrazia. Senza una cultura condivisa, solida, consapevole, la democrazia è una scatola vuota. Svuotata la cultura, si svuota anche la cittadinanza, si afflosciano i diritti, si consuma il linguaggio. Dove manca cultura, avanza il conformismo, il pensiero delegato, la partecipazione passiva.
Il cittadino che non sa leggere i meccanismi del potere non può esercitare libertà. La comunità che non conosce sé stessa non può produrre giustizia. Il popolo che ha smarrito il senso non sa distinguere tra rappresentanza e propaganda.
La crisi della democrazia è, prima di tutto, una crisi culturale.
Per questo apriamo il nostro percorso con la cultura.
Dopo aver attraversato gli scenari del nuovo ordine globale, esplorato le distorsioni del pensiero e messo a nudo le derive della democrazia contemporanea, arriviamo al punto sorgivo di ogni crisi: l’impoverimento simbolico, cognitivo, etico che ha reso possibile tutto il resto.
Abbiamo assistito al crollo della cultura come pratica sociale e politica.
Ridotta a intrattenimento, a contenuto, a palinsesto, la cultura è stata espulsa dalla sua funzione originaria: generare senso, interrogare il reale, costruire immaginario.
È tempo di tornare a chiederci: che cos’è cultura, oggi? A chi appartiene? Che forma ha preso? E cosa può ancora generare?
Un nuovo percorso: Cultura e società
In questa area tematica, la cultura diventa soggetto fisso e variabile attiva. La osserviamo nei grandi ambiti dove è stata trascurata, umiliata, ignorata – e dove, invece, può tornare a essere motore di trasformazione: Politica, Lavoro, Ambiente, Intrattenimento e media, Istruzione, Giustizia, Sanità
Per ciascun ambito, proponiamo un articolo dedicato. Ogni articolo segue una struttura analitica, critica e costruttiva, in cui la cultura viene osservata come:
- ciò che manca, quando il sistema si degrada;
- ciò che resiste, quando nascono nuove pratiche;
- ciò che può agire, se restituita al suo ruolo essenziale.
La cultura è un diritto.
Ma soprattutto è un dovere.
L’assenza di cultura è l’origine del danno.
Un cittadino senza cultura è un cittadino senza strumenti. Una comunità senza cultura è una società fragile, manipolabile, disorientata. Un sistema che non promuove cultura è un sistema destinato al collasso etico.
La cultura non è un abbellimento: è la condizione della libertà. È ciò che permette di scegliere, di dissentire, di creare alternative, di costruire senso.
Ed è il compito più urgente del nostro tempo: ricostruire cultura là dove è stata sistematicamente distrutta.
Che cos’è cultura. E perché la stiamo perdendo
Non basta dire che la cultura è in crisi perché il presidente è disinteressato e il ministro non elargisce i fondi.
Bisogna prima dire cos’è la cultura.
Non secondo i parametri burocratici, né secondo gli affaristi con l’ossessione per le cifre – biglietti venduti, visitatori, eventi promossi – ma secondo la sua funzione antropologica e sociale.
La cultura non è un prodotto da vendere o un’etichetta da apporre.
È un processo collettivo: la capacità di una comunità di darsi forma, di riconoscersi, convivere, trasmettere sapere e senso.
È ciò che plasma l’ambiente umano.
È ciò che eleva l’esperienza quotidiana a valore condiviso.
Cultura è fare bene le cose nel proprio contesto, contribuendo all’armonia collettiva.
Il muratore che lavora con onestà, l’artigiano che trasmette il proprio sapere, il medico che cura con dedizione, il cittadino che partecipa con coscienza: tutti generano cultura.
Perché agiscono secondo un codice etico condiviso.
Perché trasformano il proprio fare in valore pubblico.
La cultura non è un settore.
Non è un contenuto.
È l’ambiente invisibile che tiene insieme ogni forma di vita collettiva.
Dove non arriva la cultura, tutto si deforma. La società si sfalda, l’economia diventa guerra,
la politica si trasforma in teatro, il lavoro in fatica sterile. L’ambiente viene sezionato e venduto. La giustizia diventa procedura. L’istruzione trasmette obbedienza. La sanità dimentica di essere un “fatto umano”.
Abbiamo attraversato questi luoghi e ovunque abbiamo trovato lo stesso schema: assenza di cultura come condizione favorevole all’ingiustizia.
Cultura viva come unica alternativa possibile.
Non parliamo di cultura come evento o intrattenimento.
Parliamo di cultura come dimensione antropologica: quella che forma le parole che usiamo, i valori che difendiamo, i legami che riconosciamo.
Quella che orienta l’agire, plasma l’immaginario, fonda la possibilità stessa della libertà.
La sua cancellazione non è un effetto collaterale. È un progetto sistemico.
Ridurre la cultura a contenuto significa privare l’uomo della sua capacità di pensare e scegliere. Significa trasformare l’umano in decorazione intelligente di una civiltà terminale.
Questa è la cultura che oggi sta scomparendo, soffocata da un’idea ridotta, estetizzata, addomesticata: quella del contenuto, dello spettacolo, della celebrazione.
Una cultura “da palinsesto” che non insegna, non inquieta, non libera.
Se vogliamo parlare di democrazia, dobbiamo ripartire da qui.
Perché la democrazia senza cultura è solo gestione del consenso, simulazione di libertà, spettacolo travestito da partecipazione.
La cultura è ciò che ci rende indipendenti, non nel senso individualistico, ma come comunità capace di pensare, sentire, decidere.
La cultura è, in definitiva, l’unico antidoto credibile alla barbarie che avanza.
Ricostruire cultura: un compito politico
Non c’è via di uscita tecnica a una crisi simbolica.
Non basteranno riforme, bonus, piani di ripresa.
Servirà una rigenerazione culturale radicale, profonda, lenta, non spettacolare.
Un lavoro che attraversa il linguaggio, i gesti quotidiani, i luoghi dell’incontro, dell’educazione, della narrazione.
Un lavoro che riguarda ciascuno, perché ciascuno è produttore e vettore di cultura, anche senza saperlo.
L’alternativa non è nostalgica. È necessaria.
Non si tratta di tornare indietro.
Si tratta di riportare la cultura dove è stata espulsa: nel lavoro, nella politica, nella scuola, nella giustizia, nella cura.
Si tratta di alzare l’asticella, di pretendere di più: da chi governa, da chi insegna, da chi comunica, da noi stessi.
Una cultura viva:
- non consola: interroga;
- non decora: fonda;
- non addestra: emancipa.
La cultura non è ciò che facciamo nel tempo libero.
È ciò da cui tutto prende forma.
Per questo la battaglia è culturale.
E per questo è una battaglia totale.
Stefano Pierpaoli
10 giugno 2025
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