“Ogni struttura priva di senso crolla nel tempo.”
Italo Calvino, “Lezioni americane”
Negli ultimi anni, e con particolare insistenza negli ultimi mesi, ho cercato di condividere una prospettiva che mettesse al centro la questione dell’identità culturale, della progettualità profonda, della costruzione di senso nel sistema cinema.
Ho portato avanti questo impianto in diversi interventi pubblici e articoli, trovandomi spesso in posizione di minoranza, a volte persino frainteso.
Non ho mai cercato un facile consenso ma ho sempre aspirato al confronto costruttivo.
Oggi più che mai sento il bisogno di tornare su quel pensiero per chiarirlo meglio e la storia contemporanea ci offre un parallelo con disarmante chiarezza.
Non si tratta di un esercizio teorico: si tratta di capire insieme perché certe strade, pur battute a lungo, non porteranno da nessuna parte.
Guardando cosa sta succedendo in Europa, oggi abbiamo tutti la possibilità di vedere con più lucidità quello che ci era sfuggito.
Per questo scrivo. Perché questa analisi non è solo una lettura del passato, ma un invito a cambiare passo.
Identità o declino.
Un parallelismo necessario
Un progetto zoppo
La prima e unica vera mossa di unificazione europea è stata la creazione dell’euro. Un’iniziativa pensata in nome del mercato, dell’industria, della competitività globale. In parallelo, per legittimarla sul piano ideale, si è fatto ricorso alla retorica dei “valori europei”.
Ma senza un’identità comune, un sistema condiviso di riferimenti etici, culturali e politici, anche la più solida delle monete è destinata a galleggiare nel vuoto o a finire nelle tasche di pochi privilegiati.
Lo scenario che ne è seguito è noto: squilibri, antagonismi, competizione interna, legge del più forte. Le realtà più fragili o strutturalmente deboli, come la Grecia, sono state sacrificate. La globalizzazione ha fallito, l’economia reale ha ceduto, le industrie chiudono i battenti, le disuguaglianze sono esplose.
Nel frattempo, l’Europa resta ferma. Unita solo da una moneta, ma priva di visione e voce.
Non ha le carte per contare nei tavoli geopolitici che decidono i destini globali.
E perché?
Perché non si è mai costruita su una piattaforma autentica di valori condivisi.
Senza una costituzione comune, è impensabile parlare di architettura fiscale omogenea, politica dei salari, consolidamento del welfare, sviluppo sostenibile.
Senza identità non si costruisce proposta. Senza valori comuni non si dà direzione.
Il risultato non è più una semplice stasi: è un cedimento strutturale che ci sta già trascinando verso il disastro. In un’Europa attraversata da crisi economiche senza soluzioni e da venti di guerra che spirano sul proprio territorio, ignorare la necessità di un cambiamento radicale significa condannarsi all’irrilevanza culturale, politica e storica.
Cinema: la stessa illusione
Nel cinema, in modo speculare, si è perseguito un solo obiettivo: l’incremento dei finanziamenti e la creazione di strumenti di sostegno economico.
Come l’euro per l’Europa, così il tax credit e i fondi selettivi per il cinema.
Misure legittime, nate per affrontare le sfide del mercato globale e sostenere una crescita industriale.
Ma cosa è mancato?
È mancata la parte più essenziale:
- Un lavoro profondo sulla questione espressiva e artistica (forme, linguaggi, ricerca).
- Una formazione professionale solida e innovativa.
- Un progetto di alfabetizzazione cinematografica.
- La costruzione di un settore creativo e produttivo in grado di sperimentare e rinnovarsi.
Al contrario, ci si è aggrappati alla retorica della “grande storia del cinema italiano”, del “valore culturale immenso” delle nostre opere, della “straordinarietà delle nostre maestranze”, usata per giustificare interventi normativi sempre focalizzati sull’aspetto economico e burocratico.
Risultato: legge del più forte, progressiva marginalizzazione dei soggetti fragili, appiattimento delle pratiche e delle visioni.
E quando il mercato globale ti presenta il conto – e lo sta facendo – servono carte vere per giocare.
Non basta dire che eravamo i migliori: se un adolescente, ovunque nel mondo, oggi riesce a costruire in poche ore una scenografia digitale perfetta per un nuovo Ben Hur, siamo fuori partita.
Il pubblico non distingue la qualità perché non ha più avuto modo di conoscerla.
L’industria non riconosce il lavoro specialistico perché non lo ha più incontrato.
Il mercato non premia l’innovazione creativa perché non la ritiene necessaria.
Quali vie d’uscita?
Le soluzioni esistono, e sono paradossalmente a portata di mano.
Ma serve una svolta nel paradigma. Una visione condivisa, profonda, che riconnetta identità, valori, progettualità.
Serve un linguaggio comune, una grammatica professionale riconoscibile, un orizzonte culturale capace di tenere insieme i tanti pezzi del sistema.
Continuare a insistere sull’euro senza rifondare l’Europa ci ha condotti all’impotenza.
Continuare a ruotare intorno a strumenti finanziari senza affrontare la questione identitaria del cinema ci porterà – anzi, ci ha già portato – allo svuotamento.
Non ci sono alternative: o si ricostruisce una base condivisa di senso, oppure si accetta la marginalità e la frammentazione.
Non è un appello generico. È una chiamata vera e propria: alle coscienze, al senso di responsabilità, alla volontà di reagire.
Perché se questa riflessione venisse ancora ignorata, il danno non sarà solo concettuale: sarà l’erosione definitiva della capacità di elaborare, proporre, incidere.
E a quel punto non si tratterà più di scegliere una direzione, ma di assistere inerti al tracollo di un intero ecosistema culturale.
Stefano Pierpaoli
13 aprile 2025