Cultura e Ambiente

La natura ridotta a simbolo, l’immaginario ridotto a danno

“Una cosa è giusta quando tende a preservare l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica.
È sbagliata quando tende altrimenti.”
Aldo Leopold, A Sand County Almanac

Leopold, con la sua etica della terra, restituisce alla cultura ecologica ciò che il pensiero utilitarista ha distrutto: una visione integrata della giustizia ambientale. La sua formula è semplice e definitiva: giusto è ciò che custodisce l’equilibrio della vita. Ci invita a uscire dalla logica proprietaria per abbracciare una dimensione comunitaria e interdipendente, dove ogni gesto nei confronti della terra risuona a livello etico, estetico e spirituale

Estetica del disastro: l’ecologia ridotta a format

La crisi ecologica è reale, ma prima che geologica è simbolica. L’immaginario si è inaridito. Le immagini ambientali che circolano – ghiacciai che collassano, animali mutilati, incendi epocali – non risvegliano coscienza ma abbelliscono contenuti.

Una tartaruga uccisa dalla plastica è un video prima di un altro video, non atto d’accusa.

La crisi ambientale è diventata spettacolo. L’indignazione ha sostituito la trasformazione. E questo perché manca una visione ambientale sedimentata, condivisa, radicata nel corpo collettivo della società. C’è ansia ma non pensiero. Paura ma non consapevolezza.

L'ambiente messo all'asta

L’ambiente, quando non lo si comprende, si sfrutta

Dove la coscienza ecologica viene meno, la natura diventa ciò che serve: un ostacolo da rimuovere o un’occasione da sfruttare. Non c’è più sacralità del paesaggio ma solo vincolo urbanistico. Al posto della narrazione sull’albero resta poco più dell’ombra valutabile a metro quadro.
Nei territori spogliati di identità, trivellare, cementificare, deforestare è più facile. 

Succede quando le comunità non hanno maturato una solida coscienza ambientale. E dove non si posseggono strumenti simbolici per leggere la terra, la devastazione del territorio rischia di apparire una necessità e non una violenza.

Ed è qui che nasce il greenwashing: simulacri ecologici usati come maquillage dell’estrattivismo. È un tradimento del linguaggio prima ancora che della natura stessa.

Ecologia senza giustizia è green aristocrazia

Le diseguaglianze ambientali sono inequivocabili: chi subisce il collasso è chi ha meno risorse, meno rappresentanza, meno voce. Le periferie geografiche e sociali pagano il prezzo del benessere altrui.
Senza una visione ambientale fondata sull’equità, la transizione ecologica sarà solo un aggiornamento del dominio: energie rinnovabili nelle mani di colossi multinazionali, infrastrutture “verdi” costruite con lavoro precario, terre saccheggiate per estrarre litio “sostenibile”.

Occorre vigilare affinché le cosiddette “tecnologie verdi” non aumentino il debito materiale e simbolico dei Sud del mondo.

Una vera rifondazione ecologica implica una critica radicale del potere, non un semplice ritocco dei consumi.
Una vera cultura ambientale non si limita a chiedere comportamenti individuali: interroga le strutture, smaschera le contraddizioni, pretende giustizia.

Le criticità principali

  1. Riduzione del paesaggio a risorsa
    Il territorio viene concepito attraverso modelli economici, non come paesaggio abitato, simbolico, relazionale.
  2. Superficialità ecologica
    Predominanza dell’“ambientalismo da palinsesto”: immagini scioccanti senza riflessione, hashtag senza storie; il problema perde profondità.
  3. Debolezza dell’etica integrata
    Se manca una visione basata su integrità e stabilità del sistema vivente, ogni intervento resta tecnocratico, senza radici nel valore condiviso .
  4. Disuguaglianza ecologica
    Il degrado colpisce sempre i più vulnerabili; le élite estraggono valore mentre le comunità marginali vivono l’impoverimento ambientale e culturale.
  5. Greenwashing strutturale
    Promozioni verdi che camuffano devastazioni reali: marketing morale che cammina sulle macerie ecologiche.
  6. Precisione senza pietas
    Si applicano tecnologie e dati senza empatia, trascurando la capacità umana di percepire la bellezza, la fragilità, la vita.

Pensiero ecologico: misura, limite, radicamento

La consapevolezza ambientale non nasce dalla quantità di informazioni disponibili, né dalla precisione dei dati raccolti. Le cifre, per quanto impressionanti, non muovono l’anima. Non generano legame. Una vera coscienza ecologica non è frutto di calcolo, ma di sguardo. Non si forma con l’infografica, ma con il riconoscimento: quello che dice “questa foresta mi riguarda”, “questo ghiacciaio è parte della mia storia”, “questa distruzione è un’offesa al vivente”.
Pensare ecologicamente significa rompere il paradigma gerarchico che ha posto l’umano come misura di tutte le cose, come padrone legittimo della materia, come centro del mondo.

La Terra non è sfondo della nostra azione. È un soggetto. È casa, corpo, memoria comune. È una trama di relazioni che ci precede, ci contiene, ci eccede.

Un pensiero ecologico maturo non si limita a chiedere sostenibilità: chiede conversione dello sguardo. Riconosce che la tecnica non può redimere ciò che ha contribuito a devastare. Smentisce il dogma della crescita infinita. Contesta il mito dell’accumulazione. Rifiuta l’idea che l’innovazione sia di per sé emancipazione.

Questo pensiero è già presente: lo ritroviamo nei saperi ancestrali dei popoli nativi, che da sempre riconoscono la sacralità della terra e la reciprocità del vivente. Nelle pratiche di decrescita, che non sono rinuncia ma ricollocazione del desiderio. Nelle filosofie post-umaniste, che rifiutano la frattura moderna tra natura e cultura, tra organismo e coscienza.

Ma non basta che esista in forma teorica o marginale. Per incidere davvero, deve tornare ad abitare il simbolico. Deve nutrire il racconto, contaminare l’immaginazione, generare nuovi riti. Perché senza immaginario, non c’è empatia. E senza empatia, nessuna lotta sopravvive.

Abbiamo bisogno di ri-alfabetizzare il paesaggio, non solo nel linguaggio della scienza, ma in quello del mito, della poesia, della relazione.
Serve una nuova sintassi della natura: fatta di misura, di ascolto, di limite consapevole.
Un’ecologia del senso prima ancora che dell’ambiente.
Un pensiero capace di rimettere al centro non l’umano sovrano, ma l’umano situato — fragile, dipendente, coabitante.

Solo così potremo uscire dalla logica della gestione dell’eccezione e accedere a una visione davvero biocentrica, dove la cura non è solo un atto tecnico, ma una postura esistenziale.
Non si tratta di salvare il pianeta. Si tratta di non smarrire ciò che ci rende degni di abitarlo.

La via possibile: riscrivere la relazione tra umano e vivente

Non è solo questione di emissioni, ma di emozioni. Bisogna reintrodurre il paesaggio nella mente, il tempo nella politica, il legame nel linguaggio. Serve una pedagogia del mondo vivente. Una ri-alfabetizzazione simbolica della terra.

È qui che la cultura ambientale — nella sua forma più radicale — diventa alleanza tra etica, filosofia e giustizia sociale.

Una visione condivisa dove la cura non è gesto tecnico, ma gesto fondativo. Dove salvare una foresta è salvare una parte di sé. Dove proteggere un territorio è proteggere una comunità intera dalla sparizione.

L’educazione ambientale non può limitarsi a sensibilizzare o informare. Occorre immaginare il paesaggio come trama simbolica, luogo della coappartenenza. Così come Thoreau sosteneva l’eccellenza via la semplicità e la presenza contemplativa, Leopold ci chiede di “pensare come una montagna”, non da sopra, ma dall’interno dell’ecosistema .

Interrogare la natura non è un’operazione esteriore: è ridefinire la nostra condizione etica e ontologica. Non siamo padroni, ma nodi di un reticolo vivente. Questo spostamento comporta una rivoluzione interiore: riscrivere la nozione di progresso, ridefinire il concetto di sviluppo (come non-mero miglioramento tecnico), riconquistare la bellezza come criterio morale.

In questo senso, la vera transizione ecologica è istituzione di una nuova sensorialità, un rammendo tra ciò che la modernità ha disconnesso: l’anima umana e il suolo, l’immaginario e il vivente, il gesto politico e l’umiltà vitale.

Stefano Pierpaoli
10 giugno 2025

Gli articoli di questa area tematica

Cultura e politica

Chi non conosce la grammatica della democrazia confonde la proposta...

Cultura e Lavoro

Un lavoratore senza cultura è un organismo da spremere. Si...

Cultura e Ambiente

La crisi ecologica è reale, ma prima che geologica è...

Cultura e Istruzione

Il lessico dell’educazione contemporanea è rivelatore: “soft skills”, “orientamento al...

Cultura e Salute

Il sistema sanitario italiano, a lungo esempio virtuoso di universalismo,...

Ultimi articoli pubblicati

Iscriviti
Notificami
guest

0 Commenti
Meno recenti
Più recenti Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments