Cinema
Dalla Governance
alla GoverDance!
Agenzia di riciclo per aspiranti burocrati, ovvero: dall’isola dei famosi a ballando con le stelle
Già con la brillante idea del “ministero del cinema”, su cui mi ero espresso con il dovuto sarcasmo, era stata inserita una gemma preziosa nel forziere delle genialate all’italiana. Ma bastò poco perché quella trovata affondasse nel ridicolo, senza per questo tuttavia spegnere l’ardore creativo tipico delle nostre classi dirigenti.
Ora spunta la parola magica: “governance”. Fa internazionale, suona manageriale, e se ci pensate bene, ha quell’effetto un po’ Trumpiano che ultimamente va molto in voga (e infatti, da mago delle cazz…, delle fanfaronate, Trump ne avrebbe apprezzato la potenza evocativa).
“Seguendo le parole del maestro” (cit.), i nostri si sono gettati con entusiasmo su questa nuova arma di distrazione di massa. Un tormentone estivo che si annuncia insopportabile. Si tratta, ancora una volta, di un balletto di nomine e poltrone.
È la GoverDance, il nuovo balletto della cine-politica!
Sono fantastici. Ogni volta che vedono crollare le loro roccaforti, si affrettano a inventare nuovi catafalchi per riprodurre gli stessi giocattoli, con gli stessi attori.
In un ordinamento sano, la politica dovrebbe essere esercizio di visione, tensione intellettuale capace di interpretare le dinamiche del presente e orientare il futuro con un pensiero sistemico.
Ma qui, svuotata di ogni statura progettuale, si riduce a tecnocrazia compulsiva: il potere si esprime non attraverso un’idea, ma nella proliferazione di organismi, sigle, contenitori amministrativi senza contenuto.
Come nel caso del PNRR: ci si è affannati a creare commissioni, agenzie, cabine di regia. Nessuno si è preoccupato di stabilire un disegno chiaro, un orizzonte condiviso, i presupposti per una spesa pubblica sensata e utile alla collettività. Risultato: il 70% del PNRR rischia di trasformarsi in carta straccia. E il resto servirà per spot elettorali e per rimpinguare le tasche della casta. In pochi ci accorgeremo di qualche beneficio.
Per non parlare della RAI, in cui ogni giorno lavorano migliaia di persone, professionisti di spessore, tecnici di qualità. Un’azienda di tale importanza che resta appesa ai capricci di partiti e potentati proprio sulla questione nomine e governance. La Presidenza è bloccata da mesi. Una paralisi che dimostra quanto la parola “governance” in Italia significhi solo lottizzazione e subalternità.
Invece di governance, proviamo con “l’argomento a piacere”? Secondo me converrebbe: si eviterebbero scene mute e pessime figure. Ma soprattutto altri danni.
Copiando l’errore paranoide del tax credit, il boomerang perfetto, anche la GoverDance segue il modello semplice e binario: propaganda e rendita. È uno stendardo issato per prendere tempo, per ricompattare le truppe fedeli, per provare a neutralizzare il sacrosanto dissenso. Sarà un altro suicidio.
Sono trent’anni che si agita a sproposito il fantasma del “modello francese”. Ogni volta che il sistema vacilla, qualcuno lo tira fuori. Curioso che lo facciano anche quelli che hanno difeso a spada tratta il “modello Franceschini”, che è più vicino alle dinamiche “Chicago anni Venti”: boss, zone di influenza, filiere blindate.
Ci dispiace molto, ma i risultati parlano da soli.
Prima di creare altri guai, bisognerebbe spiegare che non basta una struttura burocratica per produrre un meccanismo virtuoso. Ogni italiano conosce bene questo gioco. È una messinscena classica: fare finta di cambiare per rimettere tutto come prima.
Un tetto sulle macerie
La GoverDance è un motivetto ballabile, utile per qualche mese estivo. Ma poi?
Pensiamo a qualcosa di più intelligente. Di più giusto. Cerchiamo di capire cosa vogliamo governare, prima di costruire la cupola da mettere al comando. Altrimenti, com’è chiaro a tutti, puzza di truffa. Lo capisce anche un bambino.
Se mi mostri una casa partendo dal tetto, anzi, se mi fai vedere solo il tetto, non mi sollevi un sospetto: mi stai dicendo che sotto non c’è niente. E infatti del sotto non è uscita una parola.
Ma qui stiamo parlando di una casa che è già crollata. Quello che è rimasto in piedi non ha bisogno di governance, ma di buoni avvocati e padrini potenti.
Finché mancherà un progetto reale, un disegno politico, culturale, etico, il resto saranno solo chiacchiere. Inutili e profondamente offensive per tutto il settore.
Le categorie della filiera conoscono bene la crisi che stanno attraversando. Sanno perfettamente che in questo contesto è destinata ad aggravarsi. È una crisi di senso, di etica, di immaginazione e quindi di prospettiva.
Nessuno può pensare che un’agenzia rappresenti un passo avanti. È una formula che semmai riproduce le stesse dinamiche del passato.
A questo punto, non si tratta di chiedere ascolto, ma di riconoscere una necessità: aprire uno spazio reale, non cerimoniale, lontano dagli interessi di bottega, per discutere ciò che conta davvero. Non un nuovo tavolo convocato secondo rituali opachi, ma un confronto autentico, pubblico, acceso, finalmente libero da recite e posizionamenti.
In questa fase, è forse questa la sola ”agenzia” di cui c’è davvero bisogno. Un luogo aperto in cui si ritrovino idee diverse per mettersi in dialogo e trovare soluzioni autentiche. Non lamentele e dichiarazioni d’intenti. Non messinscena per farsi belli sui social e pseudo-conferenze stampa fuori dalla realtà. Questa roba qui lasciamola all’isola dei famosi. Bisogna andare sul concreto e affrontare il vero problema, che è sistemico e ormai, spero sia evidente a tutti.
Un atto di responsabilità e di onestà intellettuale da parte delle classi dirigenti politiche sarebbe un segnale importante. L’Italia è morta di agenzie. Creiamo un sistema che funziona senza burocrazia.
Poi nulla vieta, nelle serate estive, di ballare la Gover Dance, ma ora cerchiamo di essere seri: lo impone anche il modello francese.
Stefano Pierpaoli
25 giugno 2025
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