«La felicità è una porta che si apre dall’interno: per aprirla, bisogna umilmente fare un passo indietro».
Søren Kierkegaard

Gli anni ’80 sancirono il fallimento del femminismo. Il movimento non aveva elaborato né proposto un’alternativa culturale e alla fine fece il gioco del sistema. Il capitalismo moribondo si servì della donna in quanto manodopera a basso costo (dopo mezzo secolo ancora parliamo di disparità di salari) e strumento di veicolazione per i modelli totalitari e frastornanti. Non l’unico strumento ma probabilmente il più esibito.
Questa esposizione, nella società narcisista, rende la donna uno dei principali bersagli di una violenza che è andata progressivamente aumentando, stimolata dagli eccessi mediatici nelle sue diverse forme.
Quando, con l’utilizzo del Web, siamo noi stessi diventati canale mediatico, abbiamo riprodotto fedelmente sia il modello totalitario che l’impulso violento, esasperandoli ancora di più ed elevandoli a sistema esistenziale di riferimento.
Il modello narcisista, declinato nelle sue diverse manifestazioni e assimilato fino al nostro midollo, si è diffuso senza incontrare ostacoli e ha determinato tutti i disequilibri su cui l’ideologia del mercato fonda il suo potere e le sue strategie. Uno schema spietato che vuole violenza.
Ogni invettiva e ogni accusa che mettiamo in rete, alimenta questa spirale di abuso in un vortice nel quale infiliamo anche il nostro privato, mortificandolo fino a legittimarne la violazione.

Colpa del femminismo? Certo che no e ci mancherebbe pure.
La responsabilità è del vuoto culturale in cui è sprofondato un sistema di valori sui quali fino agli anni ’70 avevamo costruito la nostra storia individuale e collettiva. Un vuoto che ci ha reso schiavi, disorientati e inermi rispetto alla società dei consumi.
Non siamo più consumatori: siamo diventati il prodotto. Messi sul bancone delle tv, dei giornali, dei social e della politica, veniamo rappresentati solo in quanto clienti, utenti ed elettori.
L’aspetto più inquietante e drammatico è però quello che siamo noi stessi a facilitare il disastro attraverso le nostre azioni. Siamo noi stessi che obbediamo a quel modello e ne accresciamo la forza. Un suicidio di massa nei confronti del quale il Covid-19 è davvero un’influenza stagionale come qualcuno vorrebbe credere (e far credere).
In altre epoche il tiranno, per sottomettere il popolo, doveva muovere truppe, sviluppare metodi di repressione, predisporre strumenti di controllo. Ora gli basta metterci in mano una tastiera e lasciarci agire “liberamente” per farci essere subalterni e sotto controllo. Il tutto avviene in totale, apparente autonomia.
Il gesto inconsapevole che facciamo in modo compulsivo per provare a colmare le nostre frustrazioni, è guidato dall’istinto narcisista e genera una brezza tossica che accumulata alle altre si trasforma in uragano.
In questa tempesta ci lasciamo trasportare passivamente in una giostra di ritualità che offrono l’illusione del protagonismo, dell’amicizia, dell’accoglienza. Gratificati e disperatamente aggrappati a quel consenso fittizio, che è finta approvazione e inutile adesione, il nostro narcisismo trova la sua dimora e il suo appagamento. Per qualche minuto sicuramente.
Ogni sera e a ogni risveglio verifichiamo il sondaggio su di noi che ci viene restituito dal Web. Ci sentiamo meno soli e meno inutili. Abbiamo solo conferme e questo ci rassicura. Così aggiungiamo una nuova brezza inquinata e ripetiamo il giro.
Nel nostro Paese, oltre la metà della popolazione è offuscata da analfabetismo funzionale. In questo girarrosto siamo una preda facile per chi controlla la politica e i Mass media.
Mai nella storia dell’umanità, si è attraversato uno scenario così devastante dal punto di vista antropologico. L’individuo, spogliato del suo patrimonio di tradizioni, memorie e simboli, obbligato a vivere in funzione della produzione, del consumo e degli affari, è ridotto, come mai prima d’ora, a una miseria morale e spirituale, senza altre mete che non siano quelle economiche nel senso più spiritualmente povero del termine.

Non si tratta di demonizzare il Web e sarebbe sciocco indicare un colpevole specifico analizzando un processo complesso che va avanti da tanto tempo.
Bisogna invece affrontare un ragionamento etico che parta da una riflessione sui nostri comportamenti per arrivare all’elaborazione di modelli di benessere.
Proprio dalle dimensioni che più di altre ci hanno reso subalterni e inerti può nascere quel moto di legittima ribellione che ci permetterà di recuperare spazio vitale propulsivo ed elementi di sana umanità.
Il peggior nemico del narcisismo è la consapevolezza del narcisismo stesso. Riconoscere la molla, il gesto e la reazione che sono legate a questo fenomeno ne limita l’influenza.
Il primo passo potrebbe quindi essere quello di un più consistente stato di comprensione del chi siamo sulla base di ciò che generiamo.
Il richiamo è chiaramente legato al principio di responsabilità ed è su questa base che si deve poggiare il processo di autodeterminazione che anche la Storia ci sta chiedendo.
Siamo giunti a un bivio che richiede una presa di coscienza che vada aldilà degli schemi convenzionali ormai accettati universalmente. Dall’appiattimento sul presente (Es: filosofia dell’emergenza e cultura dell’immagine) dobbiamo passare alla ricomposizione del presente e alla progettazione che ne può derivare.
Se non si è in grado di interpretare la realtà contemporanea, il nostro orizzonte rimarrà frustrato e resterà limitato all’accusa e all’invettiva (rabbia narcisista).
Se però verrà riconquistata un’ambizione più pura, libera da arrivismi miseri e individualistici, tornerà anche la voglia di conoscenza e con essa la possibilità di tornare liberi.
È un percorso culturale obbligato, fondato sul riconoscimento di valori sepolti da riaccendere e sul riconoscimento del nostro autentico spessore umano.
Occorre avviare il viaggio arduo che si muove lungo la rotta della verità, e lungo il tragitto bisogna individuare e scegliere la cosa giusta.
Questo è il fattore che aiuterà tutti noi a comprendere chi siamo e dove ci troviamo ed è questa la forza che potremo mettere in campo per far valere il diritto di essere umani e vivi.
Non è rimasto nessuno spazio ulteriore da regalare al tiranno e siamo alla vigilia di un periodo che segnerà “un prima” e “un dopo”.
La felicità è costruzione.
Facciamo un passo indietro e ricominciamo a imparare e a costruire.

Stefano Pierpaoli
01/12/20

Nel ritratto: Mary Wollstonecraft (Londra, 27 aprile 1759 – Londra, 10 settembre 1797), filosofa e scrittrice britannica, considerata la fondatrice del femminismo liberale

PS: è una sintesi presuntuosa fatta da un ladro. Questi concetti mal riportati e indegnamente espressi sono tutta roba di altri.
Da Voltaire a Chomsky e da Lippman a Olivetti.
In un brano c’è una citazione di Angelo Ciufo, mio maestro e padre politico, parte di un documento che scrivemmo insieme prima che morisse. A lui è dedicato il mio lavoro politico.
Chi ha scritto è solo un modesto scrivano che, rubando qua e là, mette insieme pensieri.
Un visionario con il vizio di indicare la luna.

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