Cinema

I ladri ricchi e i ladri poveri

Come il cinema è diventato il volto oscuro del neoliberismo culturale

In Italia, non esistono solo i ladri ricchi, quelli – che hanno costruito fortune con produzioni gonfiate e tax credit – e i ladri poveri – che arrancano all’ombra dell’assistenzialismo tossico, delle produzioncine gonfiatelle e del taxuccio creditino – ma un intero meccanismo parassitario che ha trasformato il cinema in un sistema criminale di classe. E come ogni sistema criminale, ha le sue regole, i suoi silenzi, le sue paure, i suoi complici e i suoi premi.

Il Fatto - Articolo di V. Bisbiglia e L. Bison

Il neoliberismo culturale ha un volto. Somiglia al nostro cinema

Il tax credit, lo strumento chiave delle politiche cinematografare italiane dal 2009 in poi, doveva servire a incentivare la produzione audiovisiva e l’ingresso di player stranieri. Ma si è presto trasformato in un sofisticato schema redistributivo al contrario: soldi pubblici a vantaggio di pochi soggetti privati, già dominanti. Un vero capolavoro neoliberale: socialismo per i ricchi, finto-mercato per i poveri. Chi è dentro, riceve. Chi è fuori, scomparirà. Franceschini del PD ai suoi amici aveva garantito questo.

Dietro il linguaggio tecnico e apparentemente neutrale delle norme – “sgravi fiscali”, “credito d’imposta”, “incentivi selettivi” – si nascondeva un disegno preciso: costruire una falsa equità, dove in realtà l’accesso ai fondi sarebbe stato garantito solo a chi ha le chiavi del sistema.

Serviva un periodo di assuefazione controllata, di anestesia finanziata, di propaganda cacio e pepe.
Nessun rischio per le aristocrazie privilegiate. Era un patto di ferro sancito in particolare tra PD e 100autori, instaurato tra il fascismo veltroniano e la cricca degli eletti. Chi avesse provato a restare fuori, per scelta intellettuale, per dignità o per necessità, sarebbe stato facilmente represso, deportato ed escluso da ogni forma di esistenza culturale. Le camice nere del PD non vanno per il sottile. I grandi registi del regime nemmeno.

I ladri ricchi: gli architetti del sistema

I ladri ricchi sono raffinati. Si presentano con curriculum impeccabili, nomi altisonanti, codici ATECO perfetti e rendicontazioni da commercialista svizzero. Sono i principali beneficiari di milioni di euro in fondi pubblici. Hanno imparato a usare le regole contro lo spirito delle regole. Producono film che nessuno vede, ma che ottengono punteggi alti nelle tabelle ministeriali. Sono i dominatori della “fabbrica del niente” ma invitati puntualmente nei prime time progressisti (leggi: salottisti) per promuovere il nuovo film.
Hanno uffici a Roma e a Praga, sedi legali a Milano e nel Delaware. 

Firmano coproduzioni finte, fanno giri di fatture, assumono sempre gli stessi consulenti. Vivono nei festival, sui red carpet, nei dossier strategici per le Commissioni. Lì dove non c’è più cinema, c’è sistema.

I ladri poveri: complici per fame o per convenienza

Poi ci sono i ladri poveri. Non rubano milioni, ma qualche migliaio di euro riescono a rusparlo. Accettano condizioni indecenti per entrare nel giro, scrivono progetti a cui magari non credono (non glielo dite che vi azzanneranno sui social), fanno da prestanome, mettono la firma su rendicontazioni dubbie. Molti sono giovani autori, registi, tecnici che, per sopravvivere, si adattano loro malgrado al modello dominante.

“Meglio rubare poco che non esserci per niente”. Ma nel tempo, anche loro diventano parte del problema. Sono quelli che, di fronte a ogni scandalo, dicono: “vabbè, ma il sistema è così”, oppure: “se non lo faccio io, lo fa un altro”. E così la macchina dell’ingiustizia si autoalimenta, sempre protetta da un generico ricatto esistenziale: accetti il compromesso o resti fuori per sempre.

Quando il raggiro diventa metodo

Tutto questo è stato reso possibile dalla trasformazione del cinema in un settore semi-corporativo e autoreferenziale, che non dialoga più con il pubblico ma con le burocrazie. Un mondo separato dal mondo. I film non si fanno più per essere visti, ma per essere finanziati.

La qualità? Non serve. Il pubblico? Non conta. L’etica? Una variabile secondaria. Serve solo rispettare formalmente un regolamento che è stato scritto per essere aggirato. Il tutto in un clima di sostanziale impunità: tanto chi controlla è parte dello stesso gioco. 

Le imbarazzate dichiarazioni di Nicola Borrelli, estraneo all’accaduto, in merito alla vicenda delle “Stelle della notte” confermano un atteggiamento che oltrepassa ogni linearità di ragionamento e testimoniano il disagio profondo che investe perfino i burocrati.

E così, il cinema italiano ha smesso di essere arte, pensiero, rappresentazione del reale. È diventato sussidio, contenitore, strategia. E mentre tutto questo accadeva, le voci critiche venivano marginalizzate, represse o ignorate.

Le crepe del sistema

Ora qualcosa si incrina. Le indagini in corso, i dati pubblici sempre più impietosi, le ammissioni istituzionali tardive, mostrano che il castello di carta non regge più. I numeri non mentono: troppi film senza distribuzione, troppi progetti-fantasma, troppi conflitti d’interesse non dichiarati.

E allora il sistema reagisce come sa: con la paura. Ingenuamente, si stringe attorno a parole vuote come “eccezione culturale”, “grandi maestranze”, “complessità del contesto”. Ma il contesto non è complesso: è corrotto. Istituzioni e politica non devono permettersi di dirlo ma dal settore qualche voce dovrebbe avere il coraggio di denunciare, esporsi e in tal modo liberare il cinema dall’oppressione. Non c’è altro modo per restituirgli un futuro.

I soliti aspiranti strateghi, reduci da anni di comparse silenziose e connivenze trasversali, ora si agitano in pubblico tra il solito tavolo d’ascolto e l’ennesima girandola di dichiarazioni sul nulla. Uno, da sempre fedelissimo al più prolifico ministro della Cultura degli ultimi decenni, convoca associazioni invisibili per simulare partecipazione e riflette di governance come fosse quella la soluzione. L’altro, esperto nell’arte dell’annuncio e delle passerelle, cerca applausi nel nome di battaglie dal sapore populista e posticcio.
Naturalmente, entrambi si tengono alla larga da chi non è addomesticabile.
Fantastici i “caduti dal pero” della nostra politicuccia. Chissà dov’erano negli ultimi dieci anni, quando il baratro era già visibile. L’epilogo del cinema italiano non è una sorpresa. Era tutto scritto a lettere giganti.

Nel frattempo, “tutti, nessuno escluso”, si spellavano le mani applaudendo agli annunci della Borgonzoni su elargizioni e concessioni. La destra e la sinistra, che ora vengono sventolate a sproposito, non esistevano più. Il cinema revolution piaceva a tutti.

Lo show di Occhipinti resta una perla della supercazzola, ce lo ricordiamo tutti, l’”eccesso di successo” che solo su questo sito è stato messo in evidenza. Restare disperatamente aggrappati all’isola dei famosi, Elio Germano e appunto Andrea Occhipinti, con comparsate casuali di Claudio Santamaria e Beppe Fiorello, non condurrà a grandi risultati. È una borghesia anti-intellettuale, allineata e priva di idee. Non vibra, non altera, non crea contraddizioni.

Il monito ai ladri poveri

Il mondo sta cambiando. Il neoliberismo globale, che ha protetto per anni questo tipo di modelli tossici, sta mostrando le sue crepe anche e soprattutto altrove. Sarebbe bene accorgersi che qualcosa oltre il cinema sta succedendo. Il controllo sociale aumenta, i dati circolano, le tecnologie smascherano, le inchieste si moltiplicano, come le guerre e la povertà.

Chi ha rubato poco, pensando di non dare nell’occhio, scoprirà di essere non solo vulnerabile ma anche inesistente

Perché se i ladri ricchi avranno relazioni e scappatoie, i ladri poveri verranno usati come capri espiatori. I ladri ricchi sono amici dei politici, rubano nelle stesse case. Se un ladro ricco chiede un incontro istituzionale ad alto livello, il tutto si organizza nel giro di una settimana. I ladri poveri sono destinati a essere scaricati. Sono loro a pagare il conto pubblico di un sistema che non hanno nemmeno creato ma a cui si sono venduti per alimentarlo, in cambio di una fittizia affiliazione alla cupola. E quando i ladri poveri sono anche in cattiva fede, finiscono in un’aia senza nemmeno galline da rubare.

Un’altra strada è ancora possibile

In tutto questo, bisogna alimentare le idee che hanno avuto il coraggio di resistere. Tenere in vita il pensiero critico che ha difeso gli spazi indipendenti. Le reti alternative che hanno rinunciato ad accordi torbidi pur di non perdere l’anima.
È a queste realtà che va restituito spazio. È da lì che bisogna ripartire, se davvero vogliamo ricostruire un’idea di cinema come bene culturale, atto civile, forma di pensiero.
È anche un’idea di società che andrebbe portata avanti. Soprattutto da chi ha figli, per promettere loro un futuro più limpido in un mondo migliore.

Ce lo sta dicendo la storia. Possibile che nessuno se ne accorga?

Questo mondo ci ha reso tutti ladri. Siamo costretti continuamente a rubare qualcosa per sottrarre tempo alla solitudine, alla paura, alla nostra precarietà. Siamo inventori di espedienti, talmente esperti da averli trasformati in divertimenti di ogni genere.
Ma come avevamo gridato il 7 ottobre dello scorso anno, la legalità, soprattutto nel lavoro, è una garanzia per i più deboli e per i giovani.
È molto triste che quell’appello non sia stato raccolto.

Non ci sono più scuse per restare in silenzio.

Stefano Pierpaoli
22 giugno 2025

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Domenico Malan
Domenico Malan
16 giorni fa

Parole sante.