3. Il pensiero che immagina

Sogno, finzione, possibilità, futuro

L’immaginazione è la palestra dell’impossibile. Qui il pensiero smette di rispecchiare il mondo e comincia a riscriverlo. Siamo umani perché sogniamo, e sogniamo perché il pensiero può mentire, creare, desiderare

Il sogno: pensiero che dorme, pensiero che vola

Nel sogno, il pensiero si libera dalla logica quotidiana.
Non più lineare, né coerente, né realistico: il sogno è un pensiero che ignora le regole della veglia. Eppure parla. A volte più profondamente di mille analisi.

Freud lo chiamava la “via regia all’inconscio”. Le neuroscienze lo leggono oggi come simulazione mentale, esercizio notturno per scenari possibili. Ma resta qualcosa di irriducibile nel sogno: la sua potenza immaginativa, visionaria, perturbante.

Nel sogno convivono memorie, paure, desideri, linguaggi simbolici. Non solo una rielaborazione del giorno, ma una forma di pensiero alterato. E forse, creativo.

Molti artisti, scienziati, inventori hanno attinto a immagini oniriche. Il sogno è un laboratorio mentale che non risponde alla ragione, ma all’intuizione.

Il sogno è ciò che accade quando smettiamo di pensare come di solito e iniziamo a pensare come potremmo.

La finzione: credere il falso, vivere il possibile

Perché ci commuove una storia che sappiamo falsa? Perché proviamo empatia per personaggi mai esistiti?
La finzione è uno dei paradossi più profondi del pensiero umano: crediamo al falso per vivere il vero.

Dalla narrazione mitica alla fiction contemporanea, il pensiero ha sempre avuto bisogno di maschere, scenari inventati, mondi altri. Non per evadere, ma per capire meglio la realtà. È nella finzione che possiamo sperimentare emozioni, dilemmi, finali alternativi, senza pagare il prezzo della realtà.

In letteratura, cinema, teatro, la finzione diventa laboratorio morale, specchio deformante, simulazione empatica.
Ma anche nella vita quotidiana fingiamo. Ogni ruolo sociale – il professionista, l’amico, il genitore – è una parte che impariamo a interpretare. La realtà è spesso teatro inconsapevole.

Fingere non è solo mentire: è esplorare ciò che non è, per immaginare ciò che potrebbe essere.

Il possibile: pensare altrimenti

Il pensiero che immagina è anche quello che sospende il reale.
È la forza del “e se…?”, la domanda che apre mondi.

Il possibile non è solo ciò che non è ancora ma ciò che potrebbe essere in altro modo. È la rottura dell’automatismo, dell’evidenza, della rassegnazione. In ogni rivoluzione, invenzione, scoperta, c’è un atto mentale di rottura con l’ovvio.

Pensare il possibile è un gesto filosofico ma anche poetico e politico. Significa rifiutare l’unicità del reale, immaginare alternative. “Tutto potrebbe essere altrimenti”, diceva Wittgenstein. Questo è il cuore della libertà mentale.

Il pensiero che immagina non è fuga: è critica, creazione, apertura. È il pensiero che non accetta che il mondo sia solo com’è.

Il futuro: progettare l’ignoto

Nessun animale progetta un decennio. Nessun dispositivo tecnologico teme il proprio tramonto.
Solo l’essere umano pensa in termini di “dopo”.

Il futuro è il tempo dell’immaginazione per eccellenza: non lo conosciamo, eppure lo anticipiamo, lo temiamo, lo pianifichiamo.
Ogni scelta che facciamo è già un investimento su un domani possibile.

Il futuro, però, non è un dato oggettivo: è una costruzione mentale, emotiva, narrativa. Dipende da come lo immaginiamo: come minaccia? Come promessa? Come continuità o come rottura?

Oggi, in un’epoca segnata da crisi ecologiche e tecnologie acceleranti, il pensiero sul futuro è più che mai essenziale. Senza immaginazione del futuro, non c’è responsabilità nel presente.

Il futuro non esiste. Ma i pensieri (o i non-pensieri) che riguardano il futuro plasmano ciò che esisterà.
Forse, su questo, dovremmo ricominciare ad esercitarci.

Stefano Pierpaoli
24 maggio 2025

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