Intelligenza artificiale
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Il popolo del sì o no

Binarismo cognitivo vs complessità algoritmica

Il pensiero binario è diventato la nostra comfort zone cognitiva. Sinistra o destra, pro o contro, dentro o fuori: la complessità del reale viene compressa in alternative che hanno il sapore rassicurante della scelta definitiva.

Ma dietro questa apparente libertà decisionale si nasconde quella che Zygmunt Bauman definiva “libertà negativa” – non la libertà di scegliere tra possibilità infinite, ma la libertà di non dover scegliere affatto, accontentandosi delle opzioni preconfezionate.

La diagnosi: L’illusione della scelta

Herbert Marcuse, in “L’uomo a una dimensione” (1964), aveva già intuito come le società avanzate creino un’illusione di pluralismo offrendo scelte multiple all’interno di parametri prestabiliti. Oggi questo meccanismo si è radicalizzato: non solo le opzioni sono predeterminate, ma sono state ridotte al minimo sindacale del sì/no, like/dislike, pollice su/pollice giù.

Il filosofo italiano Diego Fusaro parla di “capitalismo psichico” che opera proprio attraverso questa binarizzazione: ci viene offerta la libertà di scegliere tra Coca Cola e Pepsi, tra Netflix e Amazon Prime, tra iPhone e Samsung, mentre le strutture fondamentali del sistema rimangono intoccabili e impensabili.

Ma c’è un paradosso più profondo: spesso ci troviamo di fronte a quello che il sociologo Ulrich Beck definiva “alternative senza alternativa”. Il referendum costituzionale del 2016, la Brexit, il dibattito sui vaccini durante la pandemia: situazioni in cui il binarismo nasconde la complessità e produce paralisi decisionale. Come osserva il filosofo della scienza Thomas Kuhn, quando i paradigmi interpretativi si scontrano frontalmente, non c’è dibattito possibile: si rimane prigionieri delle proprie categorie.

Il confronto con l’IA: Lo specchio della nostra semplicità

L’intelligenza artificiale, paradossalmente, ci restituisce un’immagine amplificata della nostra tendenza alla binarizzazione.
Gli algorithmi di machine learning, per quanto sofisticati, operano attraverso classificazioni binarie progressive: spam/non spam, fraudolento/legittimo, rilevante/irrilevante.
Ma mentre i nostri “sì” e “no” sono spesso emotivi, impulsivi, definitivi, quelli dell’IA sono probabilistici, modificabili, basati su migliaia di variabili.

Il ChatGPT di OpenAI, ad esempio, genera risposte attraverso un processo che valuta simultaneamente milioni di connessioni linguistiche, pesando probabilità multiple in tempo reale.
Quando noi diciamo “sì” o “no”, spesso lo facciamo per chiudere la discussione, per evitare l’ansia della complessità. Quando lo fa un algoritmo, è per aprire nuove possibilità di calcolo.

Qui emerge il primo paradosso del nostro rapporto con l’IA: macchine che processano complessità infinita incontrano umani che hanno paura della complessità finita. Come può funzionare questo dialogo?

Il caso italiano: Dal condottiero al clickbait

L’Italia ha una tradizione storica di polarizzazione che affonda radici profonde. Dal guelfi e ghibellini alle fazioni rinascimentali, dalla Guerra Fredda alla Prima e Seconda Repubblica, siamo sempre stati il paese del “con chi stai?”. Ma c’è una differenza qualitativa tra la complessità delle contrapposizioni storiche e il binarismo contemporaneo.

Benedetto Croce, in “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, mostrava come anche nelle polarizzazioni più accese rimanesse spazio per sfumature, distinguo, mediazioni.

Oggi, come documenta l’Osservatorio di Pavia sui media italiani, il 78% dell’informazione televisiva è strutturata su contrapposizioni nette, senza spazio per posizioni intermedie o analisi articolate.

In questa tendenza si identifica uno dei segni del declino cognitivo italiano: la trasformazione da società del dibattito a società del tifo. Non più cittadini che discutono, ma tifosi che si schierano.

La trappola dell’engagement

I social media hanno amplificato esponenzialmente questa tendenza.
L’algoritmo di Facebook (ora Meta) è progettato per massimizzare l’engagement, e l’engagement massimo si ottiene attraverso la polarizzazione.

Uno studio del 2020 dell’Università di New York ha dimostrato che i contenuti che generano reazioni emotive forti (rabbia, indignazione, entusiasmo acritico) hanno una probabilità 6 volte maggiore di essere condivisi rispetto a contenuti neutri o sfumati.

Siamo quindi di fronte a un circolo vizioso: la nostra tendenza naturale al binarismo viene amplificata da algoritmi che lucrano su questa tendenza, creando una spirale di semplificazione che impoverisce il dibattito pubblico.

La complessità come competenza

Il confronto con l’intelligenza artificiale ci pone di fronte a una scelta che non può essere binaria: o sviluppiamo la capacità di gestire la complessità, o diventiamo appendici cognitive delle macchine. Non si tratta di diventare tutti esperti di informatica, ma di recuperare quella che Edgar Morin chiama “intelligenza della complessità” – la capacità di tenere insieme elementi contraddittori, di navigare nell’incertezza, di sospendere il giudizio quando necessario.

Il filosofo francese Paul Virilio aveva profetizzato che la velocità della tecnologia avrebbe prodotto un “incidente della conoscenza”: la perdita della capacità di processare informazioni complesse.
Oggi questo incidente è sotto i nostri occhi. La domanda è: possiamo ancora rimediare?

Stefano Pierpaoli
19 giugno 2025

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