Intelligenza artificiale
Chi sei uomo?
Ipernormalizzati nell'eterno presente
Presentismo vs memoria artificiale
Viviamo in quello che lo storico François Hartog definisce “presentismo”: un regime di temporalità in cui il presente si è dilatato fino a cancellare passato e futuro. Non si tratta semplicemente di vivere nel presente – cosa che potrebbe anche essere filosoficamente auspicabile – ma di vivere come se il presente fosse l’unica dimensione temporale esistente.
La perdita del senso storico
L’Italia contemporanea rappresenta un caso paradigmatico di presentismo culturale. Un paese con una storia millenaria che fatica a trasmettere memoria storica alle nuove generazioni. Secondo l’indagine INVALSI 2022, solo il 23% degli studenti italiani di terza media raggiunge livelli adeguati in storia, mentre il 34% si colloca al di sotto del livello base.
Ma il problema non è solo quantitativo. È qualitativo. Come osserva lo storico Andrea Giardina, si è passati da una concezione della storia come “magistra vitae” (maestra di vita) a una concezione della storia come fiction.
La storia non serve più per comprendere il presente e immaginare il futuro, ma diventa puro intrattenimento o, peggio, arsenal di citazioni decontestualizzate per sostenere posizioni ideologiche predeterminate.
Il sociologo Zygmunt Bauman parlava di “modernità liquida” per descrivere una condizione in cui le strutture sociali si disgregano continuamente, impedendo la formazione di riferimenti stabili. Nel presentismo italiano, questa liquidità si manifesta come incapacità di apprendere dall’esperienza collettiva. Ogni crisi viene affrontata come se fosse la prima volta, ogni errore viene ripetuto come se non avessimo mai sbagliato prima.
L’ipernormalizzazione come assuefazione
Il concetto di “ipernormalizzazione”, elaborato dal documentarista Adam Curtis, descrive un processo per cui situazioni palesemente disfunzionali vengono accettate come normali perché la loro durata nel tempo le ha rese familiari.
L’Italia degli ultimi trent’anni offre esempi lampanti di questo fenomeno: instabilità governativa, corruzione sistemica, inefficienza burocratica, divario Nord-Sud non vengono più percepiti come problemi da risolvere, ma come caratteristiche immutabili del “carattere italiano”.
Il filosofo Byung-Chul Han, in “La società della stanchezza” (2012), descrive come l’ipernormalizzazione produca una forma di “violenza positiva”: non la violenza che proibisce, ma quella che obbliga a trovare normale l’anormale. Nel contesto italiano, questo si traduce in frasi come “l’Italia è così”, “è sempre stato così”, “da noi funziona così”.
Il tempo dell’IA: Memoria infinita vs amnesia volontaria
L’intelligenza artificiale ha una relazione con il tempo radicalmente diversa dalla nostra. Un modello di linguaggio come GPT-4 ha accesso istantaneo a tutto il corpus di conoscenza su cui è stato addestrato. Non “dimentica” nel senso umano del termine: ogni informazione rimane potenzialmente accessibile e connettibile con ogni altra.
Ma c’è un paradosso: mentre le macchine accumulano memoria, noi sembriamo scegliere l’amnesia.
Non solo non ricordiamo il passato, ma attiviamo strategie cognitive per evitare di ricordarlo. Il fenomeno del “cherry picking” – selezionare solo le informazioni che confermano le nostre convinzioni – è diventato sistematico.
Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, in “Pensieri lenti e veloci” (2011) ha documentato come il nostro cervello privilegi informazioni recenti e emotivamente significative rispetto a quelle storicamente rilevanti. L’IA, al contrario, può processare pattern temporali complessi senza essere influenzata da bias emotivi o temporali.
Il caso italiano: Da Croce a TikTok
Benedetto Croce sosteneva che “ogni vera storia è storia contemporanea” – intendendo che la storia si comprende sempre dal punto di vista del presente. Ma aveva anche chiarito che questo non significava appiattire il passato sul presente, bensì comprendere come il passato viva nel presente.
L’Italia contemporanea ha rovesciato questa formula: non è il passato che vive nel presente, ma il presente che cancella il passato. La scuola italiana ha progressivamente abbandonato l’insegnamento della storia come disciplina formativa, riducendola a “educazione civica” applicata o a “storia locale” decontestualizzata.
Il risultato è quello di un “analfabetismo temporale”: l’incapacità di collocare eventi nel tempo e di comprendere relazioni causali tra fenomeni storici. Un’indagine del 2021 dell’Istituto Demopolis ha rilevato che il 41% degli italiani under 30 non sa collocare correttamente nel tempo la Seconda Guerra Mondiale, mentre il 38% non conosce le date dell’Unità d’Italia.
Social media e compressed time
I social media hanno accelerato il processo di compressione temporale. Su TikTok, la durata media di un video è di 15 secondi. Su Twitter, la half-life di un tweet (il tempo dopo il quale perde il 50% del suo engagement) è di 18 minuti. Instagram Stories scompaiono dopo 24 ore.
Questo non è solo un cambiamento tecnologico, ma antropologico. Come osserva il filosofo Paul Virilio, la velocità delle comunicazioni produce una “dromologia” (logica della velocità) che modifica la percezione del tempo. Non abbiamo più tempo per la riflessione, per la sedimentazione, per la comprensione.
L’algoritmo di raccomandazione di YouTube, ad esempio, è progettato per massimizzare il “watch time” attraverso una successione continua di contenuti che mantengano alta l’attenzione. Il risultato è una forma di presente continuo che impedisce la formazione di memoria a lungo termine.
Recuperare la profondità temporale
Il confronto con l’intelligenza artificiale ci pone di fronte a una scelta temporale: vogliamo essere partner di macchine che hanno accesso a tutta la conoscenza umana accumulata, o appendici di algoritmi che ci tengono prigionieri dell’immediato?
La filosofa tedesca Hannah Arendt sosteneva che la capacità di pensare richiede il “ritiro dal mondo” – una temporalità diversa da quella dell’azione. Oggi questo ritiro è diventato quasi impossibile. Ma forse è proprio l’IA, con la sua capacità di processare simultaneamente passato, presente e futuro, a offrirci uno specchio che ci mostra cosa abbiamo perso.
La domanda non è se possiamo tornare indietro, ma se possiamo recuperare una forma di intelligenza temporale che ci permetta di dialogare con macchine che “sanno” più storia di noi.
Stefano Pierpaoli
18 giugno 2025
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