Intelligenza artificiale
Chi sei uomo?
L'analfabeta esistenziale
Deficit cognitivo-emotivo vs educazione algoritmica
L’analfabetismo funzionale in Italia non è solo un deficit tecnico – l’incapacità di comprendere un testo scritto o di eseguire calcoli di base. È diventato un fenomeno esistenziale che investe la capacità di orientarsi nel mondo, di dare senso alle esperienze, di costruire narrative coerenti sulla propria vita e sul proprio posto nella società.
Quando non saper leggere diventa non saper essere
I dati OCSE-PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) del 2019 collocano l’Italia al penultimo posto tra i paesi sviluppati per competenze di base degli adulti. Il 37% degli italiani tra i 16 e i 65 anni ha competenze di lettura insufficienti, il 35% ha competenze matematiche inadeguate, il 41% non sa utilizzare efficacemente le tecnologie digitali.
Ma dietro questi numeri si nasconde una realtà più complessa. L’analfabetismo funzionale italiano ha caratteristiche peculiari che lo distinguono da quello di altri paesi.
Non si tratta solo di carenze tecniche, ma di una vera e propria “afasia culturale” – l’incapacità di utilizzare il linguaggio come strumento di pensiero critico e di relazione sociale.
Il sociologo Pierre Bourdieu, nel suo studio sui “meccanismi di riproduzione sociale”, aveva individuato nel “capitale culturale” uno dei fattori determinanti per l’ascesa sociale.
In Italia, questo capitale si è progressivamente impoverito, non solo nelle classi popolari, ma anche in quelle medie. L’indagine “Lettura in Italia” del 2022 rileva che solo il 40% degli italiani ha letto almeno un libro nell’ultimo anno, e tra questi, la metà ha letto un solo libro.
L’analfabetismo emotivo: Quando i sentimenti diventano reazioni
Parallelamente all’analfabetismo funzionale si è sviluppato quello che Daniel Goleman definisce “analfabetismo emotivo”: l’incapacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui. In Italia, questo fenomeno assume caratteristiche particolari legate alla cultura dell’espressività immediata e della reazione impulsiva.
Il neuroscienziato Antonio Damasio, in “L’errore di Cartesio” (1994), ha dimostrato come emozioni e ragione non siano separate ma profondamente intrecciate. L’analfabetismo emotivo, quindi, non è solo un problema di gestione dei sentimenti, ma di capacità di pensiero.
Chi non sa riconoscere le proprie emozioni non può utilizzarle come informazioni per prendere decisioni razionali.
Nel contesto italiano, questo si manifesta in quella che il filosofo Umberto Galimberti chiama “cultura della reazione”: la tendenza a rispondere emotivamente agli stimoli senza filtri riflessivi, a confondere intensità emotiva con verità, a trasformare opinioni in credenze e credenze in identità.
L’analfabetismo esistenziale: La perdita del senso
Ma esiste un livello ancora più profondo: l’analfabetismo esistenziale. Viktor Frankl, sopravvissuto all’Olocausto e fondatore della logoterapia, sosteneva che il bisogno fondamentale dell’essere umano è la ricerca di senso. Quando questa ricerca si interrompe, si produce quello che chiamava “vuoto esistenziale”.
L’Italia contemporanea sembra attraversare una crisi di senso collettiva. Le grandi narrazioni che hanno dato significato alla storia nazionale – il Risorgimento, la Resistenza, il boom economico, l’integrazione europea – sono entrate in crisi senza essere sostituite da nuove narrazioni condivise.
Il risultato è quella che il sociologo Zygmunt Bauman definiva “vita liquida”: esistenze frammentate, senza direzione, in cui ogni scelta sembra reversibile e ogni impegno temporaneo. Non a caso, l’Italia ha uno dei tassi più bassi di natalità al mondo e uno dei più alti di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti NEET).
Il confronto con l’IA: L’educazione algoritmica come specchio
L’intelligenza artificiale apprende attraverso processi che hanno analogie inquietanti con i nostri deficit educativi. I modelli di linguaggio vengono addestrati su enormi quantità di testo, ma questo addestramento è fondamentalmente acritico: assorbono pattern linguistici senza comprenderli nel senso umano del termine.
Un modello come GPT-4 può generare testi coerenti su qualsiasi argomento, ma non “sa” nel senso in cui sanno gli esseri umani.
Non ha esperienza diretta, non prova emozioni, non cerca senso. È, in un certo senso, un analfabeta esistenziale perfetto: competente tecnicamente, ma privo di comprensione profonda.
Questo ci pone di fronte a un paradosso: mentre noi perdiamo la capacità di comprendere profondamente, le macchine acquisiscono la capacità di simulare la comprensione. Il rischio è che ci ritroviamo in una situazione in cui gli analfabeti funzionali umani dialogano con analfabeti esistenziali artificiali, producendo comunicazione senza comprensione.
Il caso italiano: Dall’alfabetizzazione alla regressione
L’Italia ha una storia particolare di alfabetizzazione. Quando fu proclamata l’Unità (1861), l’analfabetismo riguardava il 78% della popolazione. La scuola pubblica, l’emigrazione interna, la televisione hanno prodotto un’alfabetizzazione di massa che sembrava irreversibile.
Ma qualcosa è cambiato negli ultimi decenni. L’Italia è l’unico paese sviluppato in cui si registra una regressione delle competenze di base tra le generazioni. I quarantenni di oggi leggono meno e peggio dei loro genitori alla stessa età.
Questo fenomeno è particolarmente evidente nel rapporto con i media digitali. Mentre i nativi digitali padroneggiano le interfacce tecnologiche, mostrano spesso difficoltà nell’analisi critica dei contenuti. Uno studio del 2021 dell’Università Bocconi ha rilevato che il 67% degli studenti universitari non sa distinguere tra fonti attendibili e non attendibili online.
La cultura del riassunto vs la complessità
Un aspetto specifico dell’analfabetismo funzionale italiano è la “cultura del riassunto”: la preferenza sistematica per versioni semplificate, compendiate, immediate della realtà. Dai bignami ai trailer, dalle sintesi ai riassunti di riassunti, si è creata una catena di semplificazioni che allontana sempre di più dalla complessità del reale.
Il filosofo Byung-Chul Han parla di “società della trasparenza” per descrivere la pretesa di rendere tutto immediatamente comprensibile. Ma la trasparenza, osserva Han, può diventare violenza quando elimina la complessità, l’ambiguità, il mistero che sono parte costitutiva dell’esperienza umana.
Nel contesto italiano, questo si manifesta nella richiesta sistematica di “spiegazioni semplici” per fenomeni complessi. La politica, l’economia, la scienza devono essere riducibili a slogan, infografiche, tweet. Ma la realtà resiste a questa semplificazione, e il risultato è spesso frustrazione, confusione, ricorso a teorie complottiste che offrono spiegazioni alternative ma ugualmente semplicistiche.
L’educazione come resistenza
Il confronto con l’intelligenza artificiale ci mostra che l’educazione non può più essere concepita come trasmissione di informazioni – le macchine sono più efficienti di noi in questo. Deve diventare sviluppo di capacità critiche, emotive, esistenziali che le macchine non possiedono.
John Dewey sosteneva che “l’educazione è la vita stessa, non una preparazione alla vita”. Oggi questa intuizione diventa centrale: di fronte a macchine che processano informazioni ma non vivono esperienze, la nostra specificità umana sta proprio nella capacità di dare senso, di provare emozioni, di cercare significato.
La domanda è: siamo ancora in tempo per recuperare queste capacità, o diventeremo appendici emotive di intelligenze artificiali che pensano per noi?
Stefano Pierpaoli
18 giugno 2025
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