L’implosione americana

Gli Stati Divisi d’America: democrazia al limite della guerra civile

Polarizzazione, milizie, sfiducia sistemica: come la prima democrazia moderna rischia il collasso interno

Non si capisce bene il perché, ma gli Stati Uniti vengono spesso indicati come “la più grande democrazia del mondo”. Sta di fatto che questa mitologica visione scricchiola ormai vistosamente e sembra sempre più evaporare.

Sono molti i fattori che testimoniano la progressiva disgregazione di un impianto politico e istituzionale che, pur nelle sue contraddittorie specificità, aveva garantito un equilibrio e armonia. Oggi, però, il top 1% della popolazione americana detiene oltre il 30% della ricchezza nazionale, mentre il 50% più povero ne possiede appena il 2,5% (dati Fed, 2024), a testimonianza di un insostenibile divario tra ricchi e poveri.

Le disuguaglianze che oggi riguardano aggregati sociali fino a poco tempo fa esenti da questo problema, hanno alimentato risentimento, sfiducia e populismo.

La classe media, vessillo del sogno americano, ha subito una pesante contrazione a causa della crisi immobiliare e del debito studentesco, tanto per citare due voragini economiche, e il tasso d’inflazione ha aggravato i disagi.

L’insicurezza sempre più diffusa ha privato la popolazione della certezza sull’essere i migliori del mondo. Questa sfiducia ha leso mortalmente la stessa identità degli Americani come insieme coeso e uniforme che oggi non condividono più una narrazione comune. Il popolo americano è oggi frammentato in tribù ideologiche, ciascuna con un proprio linguaggio, media e nemici. È venuta meno la narrazione comune e senza un orizzonte condiviso, non esiste coesione democratica.

Un numero crescente di cittadini americani non riconosce l’autorità di governi statali o federali, la legittimità delle elezioni, l’attendibilità dei media, la certezza della giustizia. Milioni di persone credono a strambe teorie di complotti.
La diffusione delle armi da fuoco è senza precedenti: ci sono più armi che abitanti. Secondo lo Small Arms Survey 2023, negli Stati Uniti circolano circa 393 milioni di armi da fuoco private, a fronte di una popolazione di circa 335 milioni.
I gruppi paramilitari proliferano in quasi tutti gli stati federali (Boogaloo Boys, Oath Keepers, Proud Boys, ecc.), pronti alla violenza in nome della giustizia e della libertà.
La questione razziale è ancora una ferita aperta, acuita dai movimenti come Black Lives Matter, dalle risposte repressive e da continue tensioni con la polizia.

In questo panorama ha preso impulso l’esasperazione di una politica biecamente polarizzata. La fedeltà partitica supera spesso l’adesione a valori democratici che dovrebbero essere condivisi e inattaccabili.
Il Partito Repubblicano di Donald Trump mostra tendenze illiberali e ostili alla legittimazione delle istituzioni federali. L’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che doveva essere un sintomo inequivocabile di sovvertimento della democrazia, è diventato invece il trampolino di lancio per le vittoriose elezioni successive. Un sondaggio della Washington Post-UMD del gennaio 2024 rivela che oltre il 35% degli elettori repubblicani ritiene “giustificata” l’azione di quel giorno o minimizza la sua gravità.

Lo scontro che sta avvenendo tra la Casa Bianca e la Corte per il commercio internazionale è solo un tassello del mosaico che si sta componendo fatto di crescenti conflitti e di pericolose derive autonomiste. Alcuni Stati, come Texas e Florida, stanno adottando politiche che sfidano direttamente Washington, anche in ambito fiscale, migratorio e ambientale. Il Texas ha persino discusso la possibilità di un referendum di secessione (“Texit”).

Il quadro generale della situazione americana ci restituisce l’immagine di una crescente e rovinosa disfunzione sistemica.

The Civil War: un epilogo possibile?

Barbara F. Walter, politologa e membro del Political Instability Task Force del governo americano, sostiene che gli Stati Uniti stanno mostrando molte delle caratteristiche tipiche dei paesi alla vigilia di una guerra civile.
Nel volume “How civil wars start: and how to stop them”, ci descrive un paese che sta scivolando verso l’anocrazia1, dove le regole democratiche esistono formalmente, ma vengono sempre più violate dagli attori politici. Le istituzioni sembrano ancora funzionare, ma il rispetto per le regole condivise è in frantumi.
I partiti si sono allineati su identità rigide (razza, religione, etnia, ideologia) e la divisione è ormai etno-ideologica: bianchi evangelici e conservatori da un lato, minoranze urbane e progressisti dall’altro.

Se questa frattura ideologica si verifica in un clima aggravato dal linguaggio di esclusione, insulto e odio e dalla disinformazione online, l’effetto sarà ineluttabile e diventerà il detonatore perfetto per violenza politica e svolte autoritarie.
La Walter non dice che una guerra civile negli Stati Uniti sia inevitabile, ma afferma che tutti gli indicatori storicamente significativi sono presenti e in peggioramento.
Il suo messaggio è un monito fondato su dati empirici, non un allarmismo ideologico: senza un’inversione di rotta, gli USA potrebbero entrare in una fase di conflitto politico violento diffuso nel prossimo decennio.

Le guerre civili non iniziano per l’impulso insurrezionale dovuto alla povertà. Prendono corpo per l’intensificarsi della repressione totalitaria che avviene quando una forza dominante teme di perdere il potere.

[1] Regime ibrido tra democrazia e autocrazia

Una crisi che ci riguarda

Non è assurdo affermare che gli USA stiano attraversando una fase pre-conflittuale in termini storici, sebbene il termine “guerra civile” rappresenta, allo stato attuale, solo una provocatoria suggestione.
Tuttavia, se alcuni fattori chiave, come le elezioni del 2024-2025, le crisi economiche o i conflitti federali, dovessero degenerare, la possibilità di un collasso parziale dell’ordine democratico USA non può essere esclusa. La violenza è un elemento fondante e regolatorio nel DNA americano e in una condizione di disperazione e disorientamento non si possono escludere trascinamenti estremi e tragici.
Se quella americana è considerata per convenzione una grande democrazia, è bene cominciare da qui una riflessione profonda e articolata sul declino delle democrazie occidentali.

La crisi democratica americana non è un incidente isolato. È lo specchio inquietante di una fragilità più profonda e diffusa, che riguarda anche l’Europa. Polarizzazione, sfiducia nelle istituzioni, diseguaglianze economiche, narrazioni tossiche: sono dinamiche ormai familiari anche in Italia, in Francia, in Germania, in Polonia.

Se la “grande democrazia americana” vacilla, non possiamo illuderci che le nostre siano solide e immuni da pericoli. I segnali ci sono già. È nostro dovere guardarli con lucidità e senso di responsabilità, interpretare le minacce incombenti e capire cosa possiamo fare per invertire la rotta.

Nei prossimi articoli, ci addentreremo nelle crepe democratiche del nostro continente, ricercando non solo le cause ma anche le politiche che possono ricostruire fiducia, rappresentanza e giustizia.
Il tempo per agire non è infinito e ne abbiamo perso già troppo.

Stefano Pierpaoli
30 maggio 2025

🔎 Area tematica:
Crisi della democrazia: viaggio nel cuore della decadenza occidentale

Ultimi articoli pubblicati

Iscriviti
Notificami
guest

0 Commenti
Meno recenti
Più recenti Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments