Il 21 marzo sarà la Giornata nazionale in ricordo delle vittime di mafia.
Le celebrazioni sono sempre un pericolo per la retorica che si portano dietro, ma il rischio più grande è che le mafie acquistino in questo tempo un potere smisurato.
Chi ha pagato il prezzo più alto sono i caduti nella guerra contro la mafia, così come sono le loro famiglie. Ma è sempre bene ricordare che le vittime della presenza mafiosa, e dell’influenza che essa può esercitare, siamo tutti noi.
La mafia è un sistema ed è un’architettura di pensiero. Non a caso intellettuali e uomini che hanno combattuto e combattono contro le organizzazioni criminali mafiose, hanno indicato la scuola come più valido deterrente contro questo fenomeno molto italiano.
Eh sì, molto italiano. Perché le dinamiche del padrino e del picciotto, del mandante e del killer, sono tipiche della nostra cultura. Siamo dannatamente abituati all’inchino, alla subalternità, all’ubbidienza, e se esse ci arrivano dal padrone influente e ci offrono un vantaggio, noi non sappiamo rifiutare.
Il capo del racket è in questo modo l’omologo del pagatore di pizzo. Il confine tra le due figure si sfuma fino a fondersi in uno stesso magma che agisce nello stesso contesto. Se tutti rifiutassero di pagare, il gesto criminale svanirebbe in un attimo, ma ce l’abbiamo nel sangue. Un malavitoso romano, molti anni fa, quando gli chiesi se c’era il racket nella sua zona, mi rispose: “Vanno tra loro. Napoletani, Siciliani, Calabresi. Da noi nu ce vengono. Noi je menamo”. Non me ne vogliano gli amici di quegli splendidi luoghi, ricchi di Storia e di Cultura. I tempi sono cambiati e anche Roma e i Romani (anzi i Romesi) ormai fanno parte di quel gioco lì. Anche Roma è immersa nelle mafie.
E a proposito di tempi e di mafie, quello che stiamo vivendo ci espongono ancor di più al potere mafioso. La povertà e l’insicurezza sociale formano una facile terra di conquista per ogni italica cupola. Lo sappiamo bene.
Ma se le mafie sono soprattutto una questione culturale è bene che questo tema venga sviscerato senza paura.
Ho seguito uno spot abbastanza ridicolo, a tratti nauseabondo, in cui venivano snocciolati i grandi successi del nostro cinema nell’ultimo periodo. Curioso che sia stato presentato in un periodo in cui tutti i cinema sono chiusi ma anche questo fa parte dello squallido giochetto all’italiana. Anche questo lo conosciamo ormai bene.
Tutti i convitati avevano preso soldi pubblici dalle Istituzioni. Tutti i convitati parlavano con entusiasmo e trasporto di quello che erano riusciti a realizzare grazie al sussidio dei sovrani.
Non sappiamo se il loro favore fosse motivato da un intimo convincimento o solo dal fatto che dovevano omaggiare il re per il bottino ricevuto ma non è questo il problema.
Chi fa spettacolo ha nelle sue corde il fatto di essere un giullare di corte. Ma chi dovrebbe rappresentare la libera espressione e costruire ponti tra passato e futuro, così come determinare processi che hanno a che fare con la conoscenza, avrebbe il dovere e diritto di poter testimoniare anche lo spirito critico nei confronti del sistema. Chi deve fare cultura non può essere un giullare di corte.
Ma se il sistema lo paga per svolgere il suo lavoro come farà? La risposta è semplice: non farà.
Se un apparato mafioso ti garantisce un benessere passivo o anche solo la sopravvivenza, cosa farai? La risposta è altrettanto semplice: non farai.
Il fenomeno che si è affermato, e che si sta rapidamente intensificando nel mondo della cultura italiano, è figlio di un sistema mafioso. L’istituzione fagocita, assorbe e paga. Lo fa perché l’evento culturale garantisce una propaganda veloce e di facile consumo.
Se non entri a far parte di questo circolo ti spegnerai nel nulla. Allora si sceglie il nulla più conveniente: la sottomissione al monarca che ti permetterà di riempire la pancia.
E scordati lo spirito critico. Vendi la tua anima e ringrazia il re. Lui ti farà mangiare.
Poco.

Il parallelo tra mafia e politiche culturali potrebbe apparire azzardato.
A molti sembra in realtà molto evidente. Per tutti gli altri che non se ne sono accorti basterà aspettare un paio d’anni. Non di più.
Che le vittime siamo tutti noi è invece indiscutibile: siamo i più ignoranti d’Europa.
Se non interromperemo questo circolo vizioso anche le mafie aumenteranno il loro potere. E aumenteranno le vittime delle mafie.

Personaggi e interpreti (in ordine di apparizione):
Le celebrazioni: usanza demagogica e ridondante, frequente nei regimi totalitari
Il capomafia: coloro che sono a capo delle organizzazioni mafiose
Le vittime di mafia: in Italia tante…troppe
Gli intellettuali: figure che non esistono più
Il malavitoso romano: si chiamava Mario, abitava al Pigneto quando questo quartiere era un’altra cosa. Credo sia morto. Come il quartiere
I Romesi: i Romani postmoderni
I convitati: tanti…troppi. Privi ormai di anima e di spirito critico
I giullari di corte: una miriade
I sovrani: presidenti, assessori e compagnia cantando
Le vittime della mafia culturale: tutti noi

Stefano Pierpaoli
19/03/2021


“Dante e Virgilio all’Inferno” William-Adolphe Bouguereau (dettaglio del Demone)

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