Modelli autoritari crescono

Dall’eccezione alla regola: autoritarismo, sorveglianza e repressione nel laboratorio americano

Il momento della verità

Su questo sito, il 30 maggio scorso veniva scritto dell’America [L’implosione americana] come un sistema al limite del collasso. Dieci giorni dopo, Los Angeles è esplosa. Trump ha dispiegato la Guardia Nazionale contro la volontà del governatore californiano. I Marines sono in strada. Le proteste si stanno diffondendo a macchia d’olio.

Non c’è soddisfazione nell’aver previsto questo scenario. C’è solo la consapevolezza che stiamo assistendo a un processo storico di portata epocale: la trasformazione degli Stati Uniti da democrazia liberale a regime autoritario attraverso la gestione strategica del conflitto interno.

  1. Trump: il sintomo più che la causa

L’elezione di Trump non ha risolto la crisi americana: l’ha incarnata.
La sua figura è emersa come prodotto della decomposizione interna di una democrazia in difficoltà, minata dalla polarizzazione sociale, dal declino economico delle classi medie e dalla perdita di credibilità delle élite. Trump si è proposto come rimedio ma ha funzionato come acceleratore. La sua narrativa ha cavalcato l’identità nazionale, il vittimismo bianco e il rifiuto delle istituzioni: non per ricomporre il conflitto, ma per renderlo permanente.
In questo senso, Trump è meno la causa e più il sintomo di un disagio strutturale, che esisteva già e continuerà anche dopo di lui. La rivolta di Los Angeles e la sua risposta militarizzata mostrano che il sistema non ha anticorpi, ma solo meccanismi di difesa.
Lungi dall’unificare, Trump ha confermato che gli Stati Uniti vivono ormai in due mondi paralleli.

  1. La strategia dello scontro permanente

Invece di ricucire le lacerazioni sociali, la politica trumpiana le esaspera. Il conflitto, in questa visione distruttiva, non è un effetto collaterale: è lo strumento principale di governo.

La logica è semplice quanto perversa:

  • Identificare un nemico interno (gli immigrati irregolari)
  • Creare una crisi controllata (i raid dell’ICE a Los Angeles)
  • Provocare una reazione (le proteste di massa)
  • Legittimare la repressione (Guardia Nazionale e Marines)
  • Consolidare il potere (stato di emergenza permanente)

Lo scontro permanente con la stampa, con le istituzioni, con i governatori, con i manifestanti, alimenta una narrazione binaria utile a compattare la propria base.
La repressione delle proteste a Los Angeles con l’uso della Guardia Nazionale, non è una mossa isolata ma coerente con una logica del potere che si nutre di escalation.
La radicalizzazione della risposta diventa giustificazione dell’autorità. Ogni opposizione è descritta come illegittima, ogni dissenso come pericolo, ogni protesta come minaccia all’ordine.
È una strategia tipica delle leadership autoritarie: produrre crisi e poi proporsi come unico argine.
In questo modo, la politica si svuota di mediazione e si traduce in pura forza.

  1. Il modello autoritario: dalla paura al controllo

In ogni società in crisi, la paura diventa strumento di potere.
La risposta militare alla rivolta di Los Angeles svela una dinamica autoritaria già presente in forma latente. L’ordine viene mantenuto non con riforme o ascolto, ma con il controllo. Il paradigma della sicurezza prende il sopravvento su quello della giustizia. Ogni manifestazione è trattata come minaccia terroristica. 

Questo approccio, ben documentato nei regimi illiberali, si sta istituzionalizzando anche negli Stati Uniti. L’emergenza è la nuova normalità. La presenza della Guardia Nazionale nelle strade non è un fatto eccezionale, ma un messaggio: lo Stato è disposto a usare la forza contro i propri cittadini.
La trasformazione della protesta in crimine non è un effetto collaterale, è il cuore del progetto. Controllare il dissenso diventa più importante che comprenderlo.
In questo quadro, la sorveglianza tecnologica e la militarizzazione sono solo gli strumenti di una strategia più ampia: prevenire la consapevolezza collettiva attraverso la paura.

  1. Gli Stati Uniti come laboratorio del nuovo ordine

Ciò che oggi vediamo negli USA non è solo crisi interna: è il test operativo di un modello globale.
La militarizzazione della vita pubblica, il controllo digitale, l’uso del caos per rafforzare l’ordine verticale sono elementi già delineati negli scenari di guerra e di riassetto mondiale. L’America, che un tempo dichiarava di esportare democrazia, è ora laboratorio di un nuovo ordine securitario. La polarizzazione serve a creare un nemico interno costante.
Le “emergenze” si susseguono, giustificando uno stato d’eccezione continuo. La linea tra guerra esterna e repressione interna si dissolve.
La democrazia si svuota: sopravvivono le elezioni, ma il potere reale passa a strutture opache, tecnocratiche, militari.
I cittadini diventano sudditi, in nome della sicurezza.
Gli eventi di Los Angeles, come prima le tensioni del 6 gennaio o l’assalto a Capitol Hill, sono sintomi di una trasformazione in corso. L’implosione è il passaggio obbligato per una nuova forma di ordine.

  1. Un appello alla coscienza critica

Prevedere è importante. Ma agire è essenziale. L’articolo pubblicato il 30 maggio ha anticipato una traiettoria.
Oggi, dopo l’esplosione delle rivolte e la risposta autoritaria, è il momento di coinvolgere. Non è più tempo di spettatori. Questo spazio editoriale, stando al numero di ingressi sul sito, sta diventando una piattaforma di confronto e mobilitazione. 

Chi legge può contribuire: scrivendo, condividendo, partecipando. Serve costruire consapevolezza collettiva prima che il nuovo ordine si consolidi. Non servono visioni apocalittiche, ma sguardi lucidi.
La partita non è persa, ma si gioca ora. Questo articolo è un invito: a rompere il silenzio, a non cadere nella trappola dell’impotenza. Più che informare, oggi dobbiamo interconnettere. Più che denunciare, dobbiamo immaginare alternative. L’implosione non è destino: può essere occasione per rifondare un senso di cittadinanza.

In questo contesto, l’informazione indipendente diventa un atto di resistenza. Ogni analisi lucida, ogni dato verificato, ogni connessione rivelata è un mattone per costruire una comprensione alternativa alla narrazione ufficiale.

Stefano Pierpaoli
12 giugno 2025

Cosa possiamo fare

Non siamo spettatori passivi di questo processo. Abbiamo strumenti di azione:

Sul piano individuale:

  • Informarsi da fonti diverse e verificate
  • Comprendere le dinamiche sistemiche dietro gli eventi
  • Resistere alla polarizzazione emotiva
  • Prepararsi a scenari di instabilità crescente

Sul piano collettivo:

  • Costruire reti di informazione indipendente
  • Mantenere viva la memoria democratica
  • Sostenere il giornalismo indipendente e investigativo
  • Creare alternative ai sistemi di controllo

Sul piano internazionale:

  • Imparare dall’esperienza americana
  • Riconoscere i segnali di deriva autoritaria nelle nostre democrazie
  • Agire prima che sia troppo tardi

L’implosione come opportunità

L’implosione americana che stiamo vivendo è una tragedia, ma può anche essere un’opportunità. La fine di un sistema malato può aprire la strada a qualcosa di meglio, se sapremo cogliere il momento.

Ma per questo serve consapevolezza, organizzazione, visione. Serve capire che quello che sta accadendo in America è un laboratorio per il futuro dell’intero Occidente.

Il tempo per agire non è infinito. E ne abbiamo già perso troppo.

Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti dedicati all’analisi della crisi democratica occidentale. Per approfondimenti e aggiornamenti, seguite le AREE TEMATICHE “Nuovo Ordine Mondiale”  e “Crisi delle democrazie” del sito.

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Giorgio Valente
Giorgio Valente
27 giorni fa

Parole chiarissime. Bravo Stefano.