“Il popolo non dovrebbe temere il proprio governo,
sono i governi che dovrebbero temere il popolo.”
V per Vendetta – Alan Moore
Negli anni che stiamo attraversando, il mondo sta cambiando a una velocità che lascia molti disorientati e privi di strumenti interpretativi.
L’impressione diffusa è che qualcosa non torni più, nei rapporti tra le potenze, nell’economia, nella vita quotidiana. E in effetti, ciò che si sta sgretolando sotto i nostri occhi è l’ordine globale costruito negli ultimi trent’anni, quello nato dopo la fine della Guerra Fredda e basato su un’idea forte (e profondamente sbagliata): il neoliberismo avrebbe portato benessere, pace e stabilità.
Oggi, quella promessa appare infranta.
Gli Stati Uniti — storici promotori del libero mercato — alzano barriere doganali contro la Cina e non solo. L’Unione Europea, per decenni laboratorio di cooperazione, torna a investire pesantemente in armi e difesa comune. La Russia intensifica il conflitto in Ucraina, che si protrae senza soluzioni all’orizzonte. A Est, si moltiplicano le tensioni attorno a Taiwan, epicentro di un possibile confronto diretto tra Washington e Pechino.
La parola “guerra”, per quanto evitata nei titoli ufficiali, torna a occupare stabilmente lo spazio pubblico.
Ma cosa sta realmente accadendo?
I dazi americani: sintomo di un sistema che implode
Gli Stati Uniti, storici promotori del libero scambio, stanno oggi erigendo barriere commerciali verso la Cina e altri attori globali. L’obiettivo dichiarato è proteggere l’industria nazionale; quello reale è difendere un’egemonia economica in declino. L’imposizione di dazi non è solo un gesto economico: è una dichiarazione politica, un segnale che la fase della globalizzazione senza regole è finita. Washington non può più permettersi di essere il mercato di sbocco per tutti, mentre la propria produzione industriale arretra.
La guerra in Ucraina: il cuore del confronto tra imperi
Il conflitto russo-ucraino è ben più di uno scontro territoriale. È una guerra per procura tra due visioni del mondo: l’espansione NATO a Est contro la pretesa russa di una propria sfera d’influenza. Ma è anche una vetrina della nuova forma bellica del XXI secolo: cyberattacchi, logistica globale, propaganda digitale, guerra energetica. L’Europa, nel frattempo, ha colto il pretesto per riarmarsi pesantemente, in una corsa accelerata verso la militarizzazione e l’integrazione bellica guidata dagli Stati Uniti.
Il teatro Asia-Pacifico: la vera linea di faglia
Taiwan è l’equivalente asiatico dell’Ucraina. La Cina la considera una parte inscindibile del proprio territorio; gli Stati Uniti un baluardo strategico per contenere Pechino e proteggere la catena globale dei semiconduttori. La tensione sale: blocchi navali simulati, esercitazioni militari, sanzioni reciproche, rottura tecnologica. La competizione tra USA e Cina non è più solo commerciale o ideologica: è una lotta sistemica per decidere chi plasmerà le regole del nuovo mondo.
Una dinamica unica dietro crisi multiple
Questi tre scenari — l’innalzamento dei dazi USA, la guerra in Ucraina, le tensioni nel Pacifico — possono apparire come episodi scollegati. Ma sono in realtà manifestazioni diverse di un’unica dinamica storica: la fine dell’ordine globale costruito intorno al neoliberismo e al dominio occidentale.
La competizione tra Stati non si gioca più soltanto su commercio e diplomazia, ma su una molteplicità di piani interconnessi: produzione industriale, sicurezza energetica, dominio tecnologico, gestione dell’informazione. In questo nuovo quadro, il conflitto torna a essere un’opzione razionale per ristabilire equilibri saltati e aprire la strada a un ordine diverso.
La crisi del neoliberismo: un sistema al capolinea
Il neoliberismo, fondato su liberalizzazioni, privatizzazioni, compressione salariale e globalizzazione senza freni, ha mostrato i suoi limiti: crescita diseguale, polarizzazione estrema della ricchezza, precarietà diffusa, erosione delle classi medie, crisi ambientali e sanitarie ricorrenti. A questo si aggiunge un altro dato ormai evidente: il logoramento della legittimità democratica.
Il sistema, giunto al suo esaurimento, non sembra più in grado di autoriformarsi. Per sopravvivere, ha bisogno di una frattura: un evento esterno o indotto che ne giustifichi la riconfigurazione.
È in questo contesto che la guerra — o meglio, una “guerra gestita” — può emergere come strumento di rigenerazione: una soluzione estrema per risolvere squilibri interni senza rinunciare al potere.
Una guerra utile a:
- spezzare le catene globali di valore e riportare la produzione “a casa”;
- cancellare il debito attraverso l’inflazione bellica;
- rilanciare l’industria pesante e quella digitale;
- giustificare misure eccezionali di controllo e sorveglianza.
Verso una guerra “gestita”
Non è detto che stiamo per assistere a una Terza guerra mondiale nei termini novecenteschi del termine.
Ma ciò che sembra delinearsi è una guerra diffusa e frammentata, giocata su più piani: militare, commerciale, tecnologico, informativo. Una guerra a bassa intensità, ma ad alta costanza, in cui il controllo dell’informazione è cruciale quanto il possesso del territorio.
In questo contesto, la guerra diventa uno strumento di “riorganizzazione” globale. Serve a distruggere e ricostruire, a spostare le sfere d’influenza, a rilanciare l’industria pesante e quella digitale, a giustificare misure eccezionali che in tempi di pace sarebbero impensabili.
È una forma perversa di “soluzione sistemica”.
Un nuovo ordine all’orizzonte
Lo scenario che prende forma è quello di un mondo diviso in blocchi regionali, dominato da alleanze militari, imperi digitali e nuove tecnocrazie. L’economia sarà sempre più centralizzata e sorvegliata; la democrazia, formalmente conservata, vedrà ridursi gli spazi di partecipazione reale. Le nuove tecnologie, anziché liberare l’uomo, verranno piegate a logiche di controllo: identità digitali, monete programmabili, sistemi di sorveglianza predittiva.
Ciò che emerge non è tanto un ritorno al passato, quanto l’inizio di qualcosa di inedito: un capitalismo autoritario e tecnologico, capace di disciplinare masse impoverite e frammentate in nome della sicurezza e dell’efficienza.
Se tutto evolve in questa direzione, non si tratterà solo di equilibri geopolitici o di strategie macroeconomiche. A cambiare, in modo radicale e forse irreversibile, sarà la vita quotidiana delle persone comuni. Senza che ce ne accorgiamo — o senza che possiamo evitarlo — l’esistenza verrà ridisegnata secondo nuove logiche di controllo, efficienza e conformità.
🔒 Sorveglianza generalizzata
Ogni nostro movimento, ogni acquisto, ogni interazione online sarà registrata, incrociata, profilata. Le videocamere intelligenti ci riconosceranno per strada. I dispositivi indossabili monitoreranno salute e comportamento. L’identità digitale — obbligatoria per accedere a qualsiasi servizio — sarà la nuova chiave d’accesso alla cittadinanza. Ma potrà anche essere sospesa, limitata, condizionata.
💸 Lavoro e denaro sotto algoritmo
Il lavoro stabile sarà sempre più raro. L’automazione e l’intelligenza artificiale prenderanno il posto di molte occupazioni tradizionali. I redditi saranno integrati o sostituiti da forme di sostegno pubblico, condizionate però da un sistema di reputazione sociale e comportamentale. La moneta sarà programmabile: potrà essere spesa solo in certi modi, entro certe scadenze, secondo criteri definiti dall’alto.
📰 Informazione a senso unico
La libertà di parola e di stampa sarà formalmente garantita, ma nella sostanza filtrata da algoritmi che favoriscono i contenuti “sicuri”, “verificati”, “conformi”. Il dissenso non sarà punito apertamente, ma marginalizzato, delegittimato, escluso dalle piattaforme. Chi solleva domande verrà trattato come un elemento disturbante dell’ordine pubblico.
🧑💻 Vita mediata dalla tecnologia
Ogni aspetto della vita passerà per un’interfaccia: curarsi, studiare, lavorare, spostarsi, votare. Senza smartphone, QR code o identità biometrica non si potrà accedere a servizi essenziali. L’illusione sarà quella della comodità; la realtà, quella della dipendenza.
⚔️ Emergenza permanente
Vivremo in uno stato di “eccezione normalizzata”. Guerre, crisi sanitarie, disastri climatici diventeranno la base narrativa per mantenere alta la soglia del controllo. Le regole saranno sempre provvisorie, ma sempre in vigore. La paura sarà la nuova forma di coesione sociale.
📅 Cronologia possibile: come si arriva a un nuovo ordine
⚠️ Nota: Questa timeline non è una previsione certa, ma una riflessione sulle tendenze in atto, basata sull’analisi dei segnali attuali. Ogni fase può sovrapporsi alle altre.
🟠 2024–2025 | Frammentazione e riarmo
Innalzamento dei dazi USA-Cina → fine simbolica della globalizzazione.
UE approva il primo “Patto Europeo per la Difesa”.
Taiwan diventa epicentro di esercitazioni militari e sanzioni incrociate.
Crescita della spesa militare in Asia, Medio Oriente, Europa.
🔴 2025–2026 | Shock strategici e destabilizzazione controllata
Nuove escalation nel conflitto ucraino (eventuali attacchi infrastrutturali estesi).
Cyber-attacchi diffusi a reti civili e finanziarie → stato di emergenza digitale.
Scenari di crisi energetica/ambientale come catalizzatori per misure eccezionali.
Diffusione su larga scala di identità digitali e valute elettroniche statali.
🟡 2026–2028 | Consolidamento dei blocchi
Nascita di nuove alleanze: ASEAN armata, asse Pechino-Mosca-Teheran, NATO ampliata.
Disaccoppiamento completo di tecnologie critiche (AI, chip, internet).
Politiche economiche “di guerra”: controllo sui consumi, inflazione gestita, riconversione industriale.
Formazione di un “reddito di base condizionato” in diverse aree, in cambio di conformità digitale.
⚫ 2028–2030 | Nuovo assetto: ordine sorvegliato
Stabilizzazione dei conflitti “a bassa intensità” su più fronti (Europa orientale, Taiwan, Sahel).
Ingresso ufficiale delle “tecnocrazie algoritmiche” come nuovo paradigma di governo.
L’informazione è filtrata da AI e validata da piattaforme di Stato.
Le società si adattano a una normalità fatta di emergenze cicliche, sicurezza permanente, perdita graduale di diritti.
🧭 Una nuova mappa del mondo
Il risultato? Un pianeta non unito da regole condivise, ma diviso in sfere, dove ogni blocco impone le proprie verità e il proprio ordine. La guerra non sarà dichiarata, ma sarà ovunque: nell’economia, nella mente, nei codici.
Non un destino, ma una direzione
Questa linea temporale non vuole essere profetica. È una lettura degli indizi attuali, una proiezione condizionata dal presente.
Sapere dove potremmo andare non significa rassegnarsi: significa, semmai, rendersi coscienti della direzione e chiedersi se esistano alternative.
E se sì, chi le può costruire.

Il ruolo dell’informazione e della coscienza
Ci troviamo, oggi, in un passaggio epocale. Le tensioni che vediamo – dazi, riarmo, sanzioni, guerre regionali – non sono che i sintomi visibili di un ordine che muore. Il nuovo ordine non è ancora pienamente visibile, ma ne intuiamo già la forma: sarà più autoritario, più digitale, più controllato. E il prezzo da pagare sarà alto, soprattutto in termini di libertà, autonomia e dignità umana.
In questo quadro, comprendere ciò che accade è già un atto politico. L’accesso a informazioni plurali, la capacità di leggere le dinamiche sottese agli eventi, la volontà di mantenere viva una coscienza critica diventano strumenti fondamentali di resistenza.
Non siamo condannati a subire questo passaggio in silenzio. Ma per opporsi in modo intelligente, è necessario superare la frammentazione del presente e cogliere la logica complessiva che muove gli eventi.
Solo così, forse, potremo difendere non solo ciò che resta del mondo che conoscevamo, ma immaginare e costruire un’alternativa possibile.
Stefano Pierpaoli
18 aprile 2025
Il nuovo ordine mondiale
Conflitti, crisi e strategie: una visione sistemica sul mondo che cambia
Tensioni geopolitiche, economia bellica, disinformazione e strategie del potere.
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