Treni verso l’abisso

“Siamo educati a una iper-semplificazione,
che scarta tutto ciò che non rientra nello schema
della riduzione, del determinismo, della decontestualizzazione.”

Edgar Morin

La semplificazione è madre dell’ignoranza indotta, della mediocrità, dell’opinione da bar. Rotola passivamente verso un modello di comunicazione tra gli individui e diventa il faro per le peggiori forme di controllo mediatico.
Sfruttata da politica e informazione, anestetizza le coscienze e droga il pensiero.
Riduce il valore della vita e ispira la violenza e la sopraffazione come gesti elementari che diventano regola consueta.
È il causa-effetto primitivo che apre le porte alla dittatura e alla guerra.

È una parola che spesso ascoltiamo accoppiata alla burocrazia. La “semplificazione burocratica” è uno dei principali obiettivi delle nostre amministrazioni. Aspiriamo a un modello di regole impersonali e di procedure standardizzate sempre più pervasivo. Un meccanismo certo di efficienza ma che, come ben sappiamo, sa generare forme di potere cieco e autoreferenziale, in cui la regola sopravvive allo scopo e la forma divora il contenuto.

Dato che però siamo tutti in fila e dobbiamo sbrigarci ad arrivare chissà dove, gli illuminati padroni degli uffici regalano scorciatoie per renderci i servi perfetti della rapidità dittatoriale. Contenti di salire sui pullman del tempo risparmiato, non ci chiediamo mai dove quell’automezzo senz’anima ci stia conducendo.

Ci porta in una stazione che non vogliamo vedere. Per salire su treni che non vogliamo riconoscere. Non hanno finestrini eppure li facciamo sembrare pieni di luce. Un bagliore continuo che non illumina ma accieca.
Educati a ridurre tutto al minimo non vediamo l’ora di appartenere a binari che, al posto nostro, decidano il percorso.
È una forma di addestramento che comincia fin da piccoli. La semplificazione è un freno didattico necessario per limitare l’apprendimento e soffocare la crescita della comunità. Per renderci obbedienti e malleabili. Siamo soggetti esposti a percezioni, figli di un eterno racconto che ci descrive la perfezione imperfetta delle macchine governanti.

Abbiamo imparato a essere felici della deportazione. Finiamo in campi di raccolta in cui il pensiero è solo lineare, immediato, unidimensionale.
Sono disegni elementari che spiegano una deformata realtà nel modo più accogliente.
Abbiamo sempre a nostra disposizione il simulacro adatto per affidare un merito o attribuire una colpa.

La mistificazione della storia passata confluisce nella banalizzazione di quella contemporanea. Non c’è metodo più efficace per scolorare il senso delle nostre possibilità fino a eliminarlo del tutto.

Non dobbiamo essere altro che collezioni da consenso facilmente classificabili, prevedibili, risolvibili. Anche il nostro corpo e la sua salute devono essere scomposti e ottimizzati.

Il medico curante non ci visita più, ci smista verso altri reparti, più specialistici, precisi, numerologici. Siamo macchine sezionate in cui ogni componente deve essere rivisitato, semplificato, separato dal resto. Cosa c’è di più terribile di un corpo smembrato?

Le passioni tristi e il bisogno del capo

Un tempo avremmo visto fili spinati e sentinelle in guardia. Ora ci iscriviamo al portale e inseriamo i nostri dati. Entriamo da soli ma non siamo né dentro né fuori. Così concentrati sul nostro individualismo che abbiamo portato l’individuo a scomparire. Non esistiamo più. E pensare che potevamo essere persone.

E invece eccoci qui, ammassati e contenti di fronte a un palco e a uno schermo. Sono concesse fughe momentanee e ingloriosi festeggiamenti. Siamo in trappola e fino a pochi anni fa non sognavamo nient’altro che questo: il tutto a portata di mano, rapido, essenziale e semplificato. Fino a scoprire che nelle celle in cui avevamo scelto di rinchiuderci poteva diffondersi un gas che ci avrebbe sterminato. Leggero, profumato e semplice. Lo respiriamo beati e ce lo scambiamo, credendo di rinviare all’infinito una morte già avvenuta.

Quella delle coscienze, della responsabilità, della costruzione di futuro. Siamo creature adeguate allo status quo, ingranaggi gelidi in una burocrazia sociale che razionalizza il ritmo delle esistenze. Non siamo altro che oggetti spettacolarizzati dalla nostra stessa autorappresentazione che vivono nel terrore dell’elemento discordante, quello che crea contraddizione, che suscita il dubbio. Che ci fa crescere.

Preferiamo la narrazione unica, il pensiero unico, la soluzione unica. Non è un caso che le politiche siano identitarie e fasciste. Tutte, nessuna esclusa. La politica è ormai solo sovranista e ci piace perché costruisce binari fissi e paralleli.

Il male che semplifica è il processo corrosivo preferito dalle classi dirigenti e dai giornalisti. Retorica e ipocrisia sono gli ingredienti principali per impastare il dolce preferito dai sudditi: la demagogia. È una droga potente che ci evita la fatica dell’autodeterminazione e soprattutto non impone prese di coscienza. Ci rende cinici e superficiali, apparentemente sereni fino alla prossima vittima. Penseranno i media a condannare l’omicida e a farci sfilare in cortei affinché tra un morto e l’altro, tutto sia tranquillo.

La semplificazione è diventata struttura del pensiero collettivo così come dell’iniziativa comune.
È così facile arrivare a quella stazione e salire su quei treni. Non dobbiamo nemmeno più deciderlo.

Miserie simboliche

Il fascismo è una degenerazione dell’umano a cui si cede per disperazione, ignoranza, paura e povertà. Là dove vengono a mancare valori, riferimenti e prospettive si corre in cerca del capo, del duce, del dittatore.
Vale per l’individuo, vale per i popoli quando si sentono sull’orlo del baratro, smarriti nel loro analfabetismo.

Quando l’angoscia si esaspera, si trasforma in frustrazione e la frustrazione in violenza, prevaricazione, culto del potere.
In quel momento si modifica in fenomeno politico, incarnato da un vertice populista che ottiene un’adesione disanimata.

Le passioni tristi sono il terreno fertile del fascismo che solo in un secondo momento si tramuta in forma politica e altro non è se non l’espressione dell’inconsistenza intellettuale e della miseria simbolica insite in ogni totalitarismo. Si incenerisce la ragione e si dissolvono i desideri.
Un capo per risolvere le proprie impotenze si trova sempre. All’inizio si chiama rabbia, ferocia, sopruso e poi diventa oligarchia e dittatura.

In quegli stessi salotti televisivi in cui oggi si discute di fascismo e antifascismo, si consuma in realtà la più fedele rappresentazione del fascismo stesso. Oligarchie privilegiate nel pieno esercizio compiaciuto del vuoto, della sopraffazione travestita da dibattito.
È questo il fascismo che ci riguarda. Quello che abita ogni cedimento alla brutalità, ogni resa alla miseria della coscienza.

Quello che appartiene a tutti noi ogni volta che cediamo ai nostri istinti più bassi o precipitiamo nelle caverne della nostra meschinità.

Stefano Pierpaoli
12 maggio 2025

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Dall’abbaglio alla gentilezza
Dissertazione sul ritorno all’umano illuminato

Cartografia del Male Contemporaneo

Il male contemporaneo non si presenta più con i tratti riconoscibili dell’orrore manifesto. È silenzioso, diffuso, integrato. Non ha bisogno di gridare: gli basta aderire, insinuarsi nei discorsi, nei gesti, nei dispositivi sociali e culturali…

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Il male contemporaneo non ha più i tratti riconoscibili dell’orrore manifesto. È silenzioso, diffuso, perfettamente integrato. Non ha bisogno di gridare: gli basta insinuarsi nei discorsi, nei gesti, nei dispositivi sociali e culturali.
Questa trilogia nasce dal tentativo di mappare alcune delle sue forme più attuali e insidiose, spesso trascurate proprio perché normalizzate.

Treni verso l’abisso esplora la spinta alla semplificazione e alla delega cieca, che trasforma le persone in passeggeri passivi su binari tracciati da altri.
Geometria della paura analizza il ruolo delle emozioni – in particolare la paura – come forza che restringe il pensiero e alimenta soluzioni autoritarie.
L’egemonia del pessimo riflette infine sul dominio della mediocrità come cifra del nostro tempo: una mediocrità che non solo spegne l’eccellenza, ma sospetta di ogni tentativo di elevarsi.

Tre sguardi, un unico intento: riconoscere le maschere del male quando si mimetizza nell’ordinario.
Perché troppo spesso il male non si impone, si lascia fare.

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