Trump vs Musk

Egocentrismi o geostrategie?

Già tre mesi fa, nell’articolo “Io è morto”, scrivevo:
“Potremmo dire, rischiando un pericoloso paradosso, che se Trump esistesse davvero, non sarebbe mai stato eletto. È proprio la sua natura di assurdo portata all’eccesso a investirlo del ruolo che ricopre: un controsenso necessario per alimentare la finzione e lo show. Non è un uomo di potere, ma ne è l’utile riproduzione che si esibisce mentre il disastro si compie. Trump e Musk non sono incidenti di percorso, ma ingranaggi essenziali della catastrofe. Non è importante stabilire se si sono costruiti da soli o siano stati creati da altri. Ciò che conta è che vengano seguiti, perché solo attraverso fasulli simulacri, la sciagura che fa mercato può diventare ineluttabile.”

Oggi, alla luce del conflitto aperto tra i due — non più icone convergenti del caos algoritmico, ma antagonisti simulati o pilotati — questa riflessione si arricchisce di nuovi livelli di lettura. Lo scontro tra Trump e Musk non è necessariamente autentico, né totalmente orchestrato: è un frammento utile alla drammaturgia del potere fluido, dove ciò che accade serve più a orientare le masse che a riflettere scelte strategiche autonome.

Il potere, in questa fase, non ha più bisogno di stabilità o verità: ha bisogno di spettacolo e instabilità controllata. In questo senso, le loro figure — anche quando si oppongono — restano funzionali alla catastrofe che fa mercato.

Trump accusa Musk di slealtà politica dopo avergli chiesto sostegno economico

Il rapporto tra Donald Trump ed Elon Musk è stato inizialmente ambiguo ma si è incrinato pubblicamente a partire dal 2022. Trump ha accusato Musk di “slealtà”, dopo che il fondatore di Tesla e SpaceX aveva negato di aver mai votato per lui. In un comizio tenuto in Alaska nel luglio 2022, Trump ha dichiarato:
“Elon Musk mi ha detto che aveva votato per me. E ora dice che non lo ha fatto. Beh, sapete cosa penso? Elon Musk è un altro artista della truffa.”
Queste parole sono arrivate dopo che Musk aveva rifiutato di finanziare direttamente la campagna di Trump per il 2024, nonostante incontri informali tra i due nel tentativo di ottenere il sostegno dell’imprenditore.

Secondo quanto riportato dal New York Times e dal Wall Street Journal, Trump aveva chiesto supporto economico per affrontare il peso crescente delle spese legali e sostenere il rilancio della sua macchina elettorale, ma Musk ha declinato, citando preoccupazioni di immagine e distanza valoriale.

Non è chiaro se Musk abbia agito per pressioni esterne (istituzionali o finanziarie), ma la scelta di non sostenere il candidato GOP più radicale lo ha posto in rotta di collisione con la base MAGA (Make America Great Again), che lo aveva inizialmente accolto come una figura anti-sistema.

Musk critica la deriva “autoritaria” del trumpismo e si mostra ambivalente sul suo ritorno

Dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021, Musk ha pubblicamente espresso forti riserve sull’ideologia trumpiana, pur criticando anche la censura e il ruolo dei social media nella crisi.
Nel 2023, pur avendo riattivato l’account Twitter di Trump, Musk ha rilasciato dichiarazioni caute:
“Non penso che Trump sia la persona giusta per un’America stabile. Troppa polarizzazione, troppa instabilità.”

In diverse interviste (inclusa quella al Financial Times) e tweet, Musk ha segnalato che preferirebbe un candidato centrista e moderato, come Ron DeSantis (prima della sua uscita dalla corsa) o un “democratico razionale”. Ha anche criticato l’uso dell’FBI come “arma politica” durante la presidenza Trump, ma ha evitato di sposare apertamente teorie complottiste.

Questa ambivalenza riflette una linea strategica: Musk cerca di mantenere aperti tutti i canali (con l’establishment, con i repubblicani, con l’opinione pubblica “alternativa”), ma senza compromettere i suoi contratti statali o l’accesso ai mercati globali.

X (ex Twitter): nuova arena della guerra dell’informazione

Dopo l’acquisizione da parte di Musk, Twitter è stato ribattezzato X e trasformato in un campo di battaglia ideologico sempre più complesso. Alcuni aspetti chiave:

  • Riammissione di figure bannate: Musk ha ripristinato centinaia di account sospesi, inclusi quelli di Donald Trump, Alex Jones, Project Veritas, e numerosi opinionisti di destra, sostenendo la libertà d’espressione.
  • Accuse di censura selettiva: nonostante la retorica della “free speech absolutism”, X è stato accusato di moderare contenuti in modo opaco, soprattutto nel conflitto israelo-palestinese (con rimozione o riduzione della visibilità di contenuti critici verso Israele o l’Occidente).
  • Narrative cospirazioniste e populiste: se da un lato la piattaforma ha amplificato voci critiche verso la NATO, la sanità pubblica e l’AI governance, ha anche lasciato spazio a contenuti di dubbia attendibilità, rafforzando l’idea che X stia diventando un contenitore liquido di “dissenso gestito”, più che un luogo libero.
  • Marginalizzazione della base MAGA: paradossalmente, molti trumpiani della prima ora oggi accusano Musk di essersi piegato al potere finanziario e alle pressioni geopolitiche, vedendo la sua gestione di X come “controllata dall’interno”.

L’ipotesi sistemica: una frattura tra poteri economico-politici

Lo scontro tra Donald Trump ed Elon Musk può essere interpretato come il riflesso visibile di un conflitto interno all’élite globale, tra due forme diverse di potere e due strategie di gestione della crisi dell’ordine mondiale.
Più che un duello personale, è il manifestarsi pubblico di una guerra fredda tra poteri sistemici: da un lato il populismo neo-sovranista e destabilizzante; dall’altro l’oligarchia finanziario-tecnologica che punta alla stabilizzazione attraverso il disordine governato.

Le tensioni tra grande finanza e populismo neo-sovranista

Elon Musk, pur avendo un’immagine pubblica da innovatore solitario e anticonformista, è profondamente integrato nelle reti del potere finanziario globale. I suoi imperi industriali (Tesla, SpaceX, Neuralink, X.ai) sono sostenuti da capitali istituzionali provenienti da giganti come BlackRock, Vanguard, Fidelity, JP Morgan, fondi sovrani mediorientali e incentivi statali americani.

Questi attori non vedono con favore una possibile restaurazione trumpiana che potrebbe:

  • interrompere il sostegno a guerre “utili” per la riconfigurazione geopolitica globale (Ucraina, Mar Rosso, Pacifico);
  • minacciare il dollaro come moneta guida (Trump ha spesso proposto politiche monetarie più aggressive e anti-FED);
  • rompere con l’ordine multilaterale costruito attorno alla NATO, al G7 e agli accordi economici transnazionali.

La “deriva sovranista” di Trump è percepita come un rischio sistemico per gli interessi globalizzati, in un momento in cui la guerra permanente serve a ristrutturare mercati, debiti e industrie strategiche (difesa, energia, dati).

In questo contesto, Musk potrebbe essere stato “richiamato all’ordine”: ostentare una distanza da Trump, evitare alleanze pericolose, e contribuire a mantenere coesa una narrazione globalista capace di reggere la crisi in corso.

Il controllo della narrazione globale

La battaglia non è solo economica o militare: è una guerra epistemica, in cui il controllo delle piattaforme, degli algoritmi e dell’informazione è decisivo. La ristrutturazione dell’ordine mondiale passa anche per una gestione unificata della realtà percepita.
Nel mondo post-2020, la “governance del caos” richiede un ecosistema informativo coeso, capace di:

  • neutralizzare le narrazioni disfunzionali;
  • rafforzare l’adesione delle masse a scelte sistemiche (pandemie, guerre, transizioni digitali);
  • prevenire derive incontrollabili del dissenso, soprattutto in fase elettorale.

Twitter/X, sotto la guida di Musk, si è trasformato in un laboratorio informativo fluido: intelligenze istituzionali, narrazioni antisistema, propagande estere e botnet geopolitiche convivono su una piattaforma sempre più strategica e polarizzata. Durante il ciclo elettorale statunitense del 2024, il ritorno di Trump in questo spazio ha rischiato di compromettere l’equilibrio precario tra disordine e controllo comunicativo.

In questo quadro, la frattura tra Musk e Trump può essere letta anche come un’operazione strategica finalizzata a:

  • ricollocare X come infrastruttura presentabile per le élite tecnocratiche e istituzionali;

  • neutralizzare il trumpismo nel suo tentativo di riappropriarsi di un canale centrale nella comunicazione politica e populista;

  • proteggere gli interessi strategici e geopolitici connessi alle aziende di Musk, che dipendono in larga parte da rapporti stabili con il governo USA e suoi partner.

Scenario possibile: il dissenso compatibile

La rottura tra Musk e Trump non è una resa al potere, ma potrebbe essere una ristrutturazione del dissenso: lasciare che Elon Musk rappresenti un’alternativa “contestativa” ma compatibile, un polo critico ma integrabile nel nuovo ordine multipolare.

Così come la guerra permanente non mira alla vittoria, ma alla gestione del conflitto, anche la frattura Musk-Trump non mira a eliminare l’opposizione, ma a ricondurla entro margini accettabili per gli architetti del caos sistemico.

Altra ipotesi: pressioni esterne?

Sebbene l’attenzione si concentri sulle dinamiche interne agli Stati Uniti, non si può escludere che attori esterni — statali o para-statali — stiano esercitando un’influenza significativa sulle mosse di Elon Musk. In particolare, la sua figura risulta oggi un nodo critico in una rete geopolitica altamente esposta, dove le scelte pubbliche non possono essere totalmente autonome.

Dipendenza industriale dalla Cina: il “fianco asiatico”

Tesla Shanghai è oggi la più grande fabbrica Tesla al mondo, con una catena di fornitura profondamente integrata nel sistema industriale cinese. Le terre rare, il litio, il cobalto e altri materiali essenziali per l’intero ecosistema elettrico dipendono in gran parte da hub commerciali e minerari controllati direttamente o indirettamente da Pechino.

In questo contesto, bastano ritardi nei permessi doganali, inasprimenti normativi o pressioni informali per mettere in difficoltà la produttività e la capitalizzazione di Tesla.

Musk sa che un ritorno aggressivo di Trump potrebbe innescare nuove guerre tariffarie o tecnologiche contro la Cina, esponendo direttamente il suo impero industriale. Una sua alleanza pubblica con Trump, oggi, potrebbe costargli miliardi in perdite potenziali o svalutazioni di asset strategici.

L’interesse cinese a un “occidente diviso”

Cina e Russia, pur con strategie diverse, hanno interesse a un’America divisa, in lotta interna, meno proattiva sul piano militare. Ma non vogliono un’escalation incontrollata né un ritorno trumpiano che destabilizzi troppo l’ordine dei mercati globali.

Musk, per Pechino, è una pedina utile ma condizionabile, soprattutto se mantiene una distanza funzionale dalla deriva caotica trumpista. Non deve rompere con gli USA, ma nemmeno allearsi con chi potrebbe mettere a rischio la stabilità globale a vantaggio del caos.

Il doppio vincolo: apparato statale USA e complesso militare-industriale

Oltre alla Cina, Musk è fortemente legato all’apparato istituzionale americano, dal quale dipendono contratti multimiliardari e infrastrutture strategiche:

  • SpaceX collabora con la NASA, il Pentagono, l’Air Force e la DARPA;
  • Starlink è diventato uno strumento operativo nei teatri bellici (Ucraina, Israele, Mar Rosso);
  • Il progetto di Musk di fornire Internet satellitare globale può funzionare solo se è percepito come alleato affidabile del “deep state” occidentale.

Una sua alleanza con Trump, percepito come ostile a una parte di questo apparato (CIA, Dipartimento di Stato, NATO), potrebbe metterlo in rotta di collisione con le istituzioni da cui dipende la sopravvivenza strategica del suo impero.

Quindi, anche qui, la sua presa di distanza da Trump può essere una mossa obbligata, un gesto di sopravvivenza sistemica in un contesto in cui la lealtà al potere fluido è una condizione per l’accesso al futuro.

Ipotesi di fondo: Elon Musk come infrastruttura, non individuo

In questo scenario, Musk non è più solo un imprenditore, ma una piattaforma di potere distribuito. Le sue aziende, le sue tecnologie, la sua rete sociale (X), la sua influenza sul dibattito pubblico e persino sull’intelligenza artificiale (xAI) lo rendono una componente chiave della ristrutturazione sistemica.

Per questo motivo, la sua libertà di manovra è fortemente vincolata: ogni gesto, ogni alleanza, ogni parola ha implicazioni globali. E chi lo osserva — Washington, Pechino, Bruxelles, Tel Aviv, Mosca — lo valuta non come uomo, ma come struttura strategica.

I limiti dell’ipotesi sistemica

Per una valutazione realmente critica, è necessario includere anche le antitesi a questa ricostruzione

L’indipendenza narcisistica di Musk

Elon Musk non ha mai mostrato di essere docile verso qualunque forma di potere consolidato. Al contrario, ha spesso agito contro le aspettative dei suoi alleati o investitori, come quando ha:

  • Licenziato in massa il team di moderazione di Twitter/X, contro il parere di pubblicitari e governi;
  • Postato contenuti controversi o vicini a ambienti cospirazionisti;
  • Attaccato apertamente George Soros, l’Unione Europea e perfino alcune politiche sanitarie statunitensi.

Questo rende fragile l’ipotesi che sia “manovrato” passivamente. Il suo comportamento suggerisce una forte autonomia strategica, anche se condizionata da pressioni esterne.

L’ambiguità strategica come metodo

Musk ha sempre adottato una diplomazia ambivalente, evitando allineamenti definitivi e mantenendo aperture verso tutte le principali forze politiche — anche in fase pre-elettorale. Il suo apparente allontanamento da Trump, quindi, potrebbe non essere stato una rottura ideologica, ma piuttosto una mossa tattica per garantirsi spazio e legittimità, indipendentemente dall’esito della contesa presidenziale.

Alla luce di quanto accaduto, questa ambiguità si conferma come una strategia di posizionamento adattivo: non schierarsi in modo definitivo, ma rimanere utile e interlocutore accettabile per qualunque vincitore o equilibrio emergente post-2024.

Trump stesso è legato a settori della finanza e del potere

Nonostante la sua retorica anti-sistema, Trump non è mai stato realmente osteggiato dall’intero blocco finanziario-militare. Durante il suo primo mandato:

  • Ha aumentato i budget della difesa e sostenuto l’industria bellica;
  • Ha ridotto le tasse alle corporation e deregolamentato la finanza;
  • Ha intrattenuto rapporti ambigui ma funzionali con BlackRock e JPMorgan.

Questo indebolisce l’idea che ci sia una contrapposizione rigida tra “Trump anti-sistema” e “élite globaliste”. In realtà, Trump rappresenta un’ala del sistema, più aggressiva e caotica, ma non estranea ad esso.

X ospita ancora il trumpismo digitale

Anche se Musk ha preso le distanze da Trump sul piano personale, la piattaforma X (ex Twitter) resta uno dei principali megafoni del populismo trumpiano. Su X troviamo:

  • Tendenze antivax, complottiste e ultra-conservatrici;
  • Supporto a narrativi MAGA, suprematisti e isolazionisti;
  • Attacchi continui a Biden, all’FBI, ai media mainstream.

Se davvero Musk volesse “arginare” Trump su ordine del sistema, non avrebbe lasciato X in mano a queste reti. Il fatto che non eserciti un vero contenimento contraddice l’idea di una sua adesione piena a un’agenda anti-trumpiana sistemica.

Nessuna prova diretta di pressioni da parte della Cina o del deep state

Finora non esistono elementi documentati o confermati che dimostrino:

  • Un ricatto geopolitico cinese su Musk o Tesla;
  • Minacce istituzionali USA in caso di sostegno a Trump;
  • Condizioni specifiche nei contratti pubblici di Starlink, SpaceX o xAI che impongano allineamento politico.

Questo non nega che ci siano pressioni sotterranee o segnali indiretti, ma l’ipotesi resta speculativa e va trattata con prudenza.

Brutti sintomi del nuovo ordine

Lo scontro tra Trump e Musk non è riducibile a una semplice schermaglia tra ego ipertrofici. È, piuttosto, un frammento visibile di un conflitto sistemico che attraversa i gangli profondi del potere contemporaneo: tra tecnologia e politica, tra governance globale e sovranità nazionale, tra controllo algoritmico e spettacolarizzazione permanente.

In questa cornice, la loro opposizione pubblica — reale o costruita — assume il valore di segnale. Rivela la crescente instabilità di un ordine che si vorrebbe ancora dominato da regole, ma che ormai si regge su equilibri precari, negoziati invisibili e mediazioni opache tra poteri eterogenei. Musk e Trump non sono cause del disordine: ne sono sintomi avanzati, amplificatori e strumenti.

Lontani dall’essere anomalie, rappresentano le forme mutanti dell’egemonia in epoca di crisi: uno, ponte tra industria, finanza e infrastrutture globali; l’altro, espressione reattiva di un populismo che finge rottura mentre incarna nuove modalità di adesione.

Come più volte sottolineato nelle mie analisi, nel nuovo ordine fluido le guerre non si dichiarano più, si amministrano. Non si vincono, si gestiscono. E la verità, più che affermata, viene negoziata tra chi ha accesso alla voce e chi resta muto nella struttura.

In questo scenario, comprendere le dinamiche tra figure come Trump e Musk non serve a inseguire il gossip del potere, ma a leggere i codici con cui il potere si ristruttura. La posta in gioco non è chi vincerà la contesa, ma quale mondo verrà normalizzato nel frattempo.

Stefano Pierpaoli
6 giugno 2025

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alessia
alessia
1 mese fa

Ragionamento pazzesco…brividi