Questa storia inizia da un sogno. Non so se sia il sogno di milioni di italiani oppure il sogno di una minoranza o addirittura di un uomo soltanto. Ma non mi sembra. So che se vivessimo in un paese normale sarebbe un sogno realizzabile. So che se vivessimo in un paese normale forse non sarebbe nemmeno un sogno. Non avrebbe bisogno di esserlo. Non avrebbe la necessità di diventarlo.
Come cittadino ho sentito la forte esigenza di verificare il confine del sogno. Come uomo che svolge un’attività intellettuale ho avvertito il dovere di mettermi al servizio della collettività offrendo il modesto contributo di un’idea e di un progetto da condividere.Come molti sapranno ho utilizzato il mezzo che non esito a definire il punto vitale della moderna democrazia: internet. Mi sono inserito in una grande comunità virtuale e ho trascorso qualche giorno a esplorare questo universo composto e animato da artisti di ogni disciplina e da donne e uomini di tutte le età e di tutte le nazionalità.
Ho creato la mia pagina e ho cominciato a scrivere di me, della mia storia, ma soprattutto ho aggiunto qualcosa di ancora più personale e importante: appunto quel sogno e quell’idea…quel progetto. Questo progetto.
L’ho fatto in modo schietto, credo molto esplicito, nitido, cercando subito di eliminare il rischio del malinteso, del “travisabile” e di sottrarre ai soliti ignoti ogni possibilità di manipolazione come anche di controllo.
Sarebbe stato mortificante per lo stesso progetto essere scambiato con un aspirante agente di artisti, con n futuro imprenditore della comunicazione o peggio ancora con un aspirante politico o fustigatore di politici.
Il sogno era quello di generare una grande onda spontanea in quanto prodotto di autentico protagonismo popolare, prodotto di una spinta cosciente e partecipata, consapevole e matura, in grado di recuperare un sistema di valori, di riferimenti, di punti di ordine sui quali riconquistare una dimensione attiva nel presente e quindi una prospettiva concreta di futuro.
Il grande problema che oggi ci assilla e che opprime è proprio l’impossibilità di poter inquadrare il nostro futuro, l’impossibilità di progettare la nostra esistenza, l’impossibilità molto spesso di migliorare la nostra conoscenza e anche il nostro tenore di vita.
Il concatenamento di fattori devianti, di elementi che favoriscono i dis-equilibri nella nostra società ha effetti devastanti, causando esclusione, emarginazione, disperazione a diversi livelli e fenomeni di esasperazione nelle dinamiche di confronto, di dialogo e nell’eccesso di volgare spettacolarizzazione in talune vicende legate anche al dibattito politico.
Questi continui eccessi che siamo costretti a subire o che addirittura ci possono vedere protagonisti, sono il frutto delle distanze e dei vuoti che caratterizzano il nostro assetto sociale.
Se qui a Ferrara, per entrare nel castello c’è un ponte, fisso o mobile che sia basta che io lo attraversi camminando. Se ci fosse un’interruzione di un metro potrei azzardare un salto. Ma nel caso i metri fossero dieci o ancora di più, dovrei tentare un prodigio per accedere. Un eccesso. E comunque andasse a finire diventerei un personaggio da prima pagina, oppure, molto più probabilmente, anzi sicuramente, finirei in mezzo alle carpe e alle anguille. È vero che sulle grandi imprese si è spesso scritta la storia, ma quando si parla di accesso al diritto e alla fruizione di beni comuni, permettetemi di dire che è inaccettabile essere ridotti a pensare all’eccesso.
L’accesso, la fruizione, il confronto, la partecipazione, il dialogo.
La casa, la salute, la giustizia, l’istruzione, l’ambiente, il lavoro. Su questo non ci deve essere distanza. Non ci devono essere prodigiosi salti nel vuoto.
In questo sistema sociale fatto di limitazioni al diritto, alla libertà, su questo sistema sociale impostato sul privilegio, sul rapporto particolare, sull’interesse corporativo, gli effetti sono devastanti sul piano anche antropologico. L’uomo, privato di tradizione, memoria, riferimenti, obbligato a vivere in funzione della sola produzione, con l’acqua alla gola e nello stesso tempo forzato al consumo è ridotto, per la prima volta nella storia, a incastrarsi in un itinerario soffocante che non prevede altre mete se non quelle economiche nel senso più mortificante del termine e accanto a questo a subire la condanna alla miseria morale e intellettuale.
In tutto questo mettiamoci che il mercato, divenuto ideologia predominante e pensiero unico, ci conduce al parossismo legato al successo personale, alla prevaricazione dell’altro, all’accumulo di potere, in un gioco che non ammette soste se non quelle decise dall’alto e regolamentate secondo criteri degeneranti.
Io la chiamo “strategia del pugno di riso”. Il “meglio di niente” che aiuta a non pensare e che risolve qualche problema legato alle diverse povertà.
Questo delitto si consuma maggiormente nel campo della comunicazione e della cultura. Abbassare la soglia dell’esigenza culturale e della richiesta di qualità artistica è uno strumento soporifero che elimina il problema della coscienza critica. Cinema scadente, televisione volgare e musica dozzinale sono mezzi efficaci per diffondere alienazione. Impedire a nuovi talenti di accedere al mondo della cultura è funzionale a tutto questo. Evitare il rischio dalle sperimentazioni artistiche e dei nuovi linguaggi è fondamentale per chi vuole dirigere un popolo indebolito. Obbligare le giovani generazioni al salto nel vuoto è utile. E invece no: niente salti nel vuoto ma libero accesso per chi lo merita. Niente eccessi da una parte o dall’altra ma dialogo, confronto, democrazia.
Gran parte delle responsabilità di questa condizione di degrado e di degenerazione nei collegamenti d’accesso e di distorsioni per la corretta fruizione da parte dei Cittadini del prodotto culturale è da attribuire senza alcun dubbio proprio alle classi dirigenti culturali del nostro paese, cioè a coloro che, potendo contare su appoggi privilegiati, su palcoscenici di grande visibilità, su canali protetti di ingresso nel mercato e sul potere distributivo su media e schermi di ogni genere, invece di mantenere un ruolo di connessione tra popolazione e categorie dirigenti, invece di difendere la naturale funzione di interpretazione della società, invece di tenersi in costante e diretto legame con la cittadinanza, si sono preoccupati di ritagliarsi spazi di potere corporativo, assistito e fortemente elitario, con grandi vantaggi economici e allineata funzionalità alla politica e all’alta imprenditoria.
Nel momento in cui un artista si distacca dalla società civile e diventa strumento di controllo delle coscienze, così come strumento di arricchimento personale e di monopolisti da strapazzo, al servizio di caste asserragliate nei palazzi, compie un grave delitto contro la collettività e diventa ulteriore punto di debolezza per la democrazia stessa.
Perché produce un vuoto pericoloso negli equilibri dell’informazione e nei processi di crescita dell’intero paese.
Perché diventa organico rispetto a un sistema sleale e incapace di interpretare le istanze che provengono dalla popolazione.
Perché si pone al servizio di processi di disgregazione, di perdita d’identità, di smarrimento culturale e di squilibri sociali che generano disperazione, esclusione, emarginazione.
Perché in altre parole tradisce e offende quel compito nobile e disinteressato che dovrebbe essere proprio dell’artista, dell’intellettuale, dell’operatore nella cultura.
Questo drammatico vizio corporativo costituisce uno dei grandi mali che hanno soffocato la crescita italiana in molti settori, ma quello che vogliamo evidenziare attraverso il nostro messaggio e la nostra attività culturale è un appello rivolto alle classi dirigenti della cultura, affinché abbandonino l’olimpo dei privilegiati e tornino a conoscere il paese in cui vivono.
È un modello sorpassato, in certe dinamiche addirittura feudale, quello che pretendono di sostenere attraverso la loro rete di rapporti particolari e il potere mediatico che danno loro mille occasioni di conformiste, ipocrite rappresentazioni di se sessi. L’autoreferenzialità ha raggiunto in Italia un livello inaccettabile. Basta avere un curriculum di personaggio della televisione per predicare sui mali del mondo.
Il vizio assistenzialista ha invece provocato, oltre ai noti danni economici e legali, la disabitudine all’iniziativa libera e indipendente. Le squallide frasi: “chi conosci all’assessorato?” “chi hai alla commissione dei finanziamenti” “chi ti presenta questo o quel progetto”, hanno finito per radicare in seno alla popolazione una sorta di lassismo da “attesa ineluttabile”, scenari kafkiani si manifestano sotto varie forme dietro la proposta artistica avanzata da un non-autorizzato e come in un universo sospeso in un limbo di soste e inquietudini, ci rassegniamo all’impotenza o alla ghettizzazione in ambiti di ristretta visibilità.
In questi mesi, da aprile a oggi, da quando ho deciso di fare questa scommessa che ci ha portato qui oggi tutti insieme, ho fatto un viaggio per l’Italia. Non si è trattato certo di un viaggio in un paese che non conoscevo, del resto quello che ho scritto nei primi tempi della mia iniziativa lo testimonia, ma mi ha dato comunque la possibilità di verificare alcune alterazioni nei nostri costumi tradizionali. Sono stato spesso accolto da una rassegnazione feroce rispetto alle potenzialità che possiamo sviluppare. Lo scetticismo che ha caratterizzato molti confronti con artisti e cittadini mi ha ferito, perché tentava di intaccare non solo la mia volontà nel portare avanti questo progetto, ma cercava di indebolirne le fondamenta, che non erano altro che il desiderio di produrre un’onda fresca, vivace, allegra ma nello stesso tempo molto concreta e costruttiva, basata su principi etici di convivenza armoniosa e su valori condivisi che devono essere parte integrante del nostro quotidiano. Su un’esigenza di uguaglianza e libertà, di iniziativa e di futuro.
La diffidenza che ha sovente appesantito gli incontri con diversi operatori culturali è in fondo la stessa che erige muri all’interno delle nostre comunità e tra diversi aggregati sociali che pure potrebbero e dovrebbero collaborare per migliorare e migliorarsi. Di nuovo un vuoto, di nuovo una distanza, di nuovo uno spettro che ci tiene separati e che ci indebolisce.
Sguardi pensierosi che mi studiavano: “Chissà questo dove vuole arrivare”. “Vorrà fare l’agente, l’impresario, vorrà inglobare tutti in un nuovo soggetto economico di sua proprietà”. “Chissà chi lo ha mandato. Chissà cosa c’è dietro. Vorrà fare politica”.
Io non ho nessuna intenzione di fare l’agente o l’impresario. Così come tutte le persone che stanno lavorando in Consequenze. La politica per come viene considerata e vissuta in Italia ci interessa poco e in questo momento ancora di meno.
Io vorrei tornare a scrivere i miei libri e andare un po’ al mare. Non voglio fare l’imprenditore. Però quello che desidero, vorrei che possa realizzarsi in un paese normale. La mia proposta, rivolta ai miei concittadini, alla società civile di cui sono parte e di cui sarò sempre parte, perché amo questo paese malgrado mi abbia fatto del male, si fonda su un profondo desiderio di democrazia, di modernità, di uguaglianza, di legalità. Regole uguali per tutti. Torniamo a crescere, recuperiamo serenità, benessere. Ritroviamo armonia sociale. Liberiamoci dallo scontro, dall’invettiva ad oltranza, dalla diffidenza verso il nostro vicino, verso il diverso, dall’annullamento di chi non la pensa come noi.
Lavorare sulla cultura è una chiave decisiva per tutto questo. Riconquistare spazi di espressione libera è linfa vitale per eliminare squilibri e paure. Accrescere in modo corretto la conoscenza fornisce strumenti di democrazia e il lavoro intellettuale onesto è garanzia democratica.
La diffidenza e lo scetticismo sono reazioni tipiche della senilità. Siamo diventati un paese vecchio, privo di impulsi che non siano guidati dal santone o dal predicatore di turno. Un paese malato di individualismo e finiamo col fare la guerra dei poveri o peggio tra poveri.
Mi è stato qualche volta rimproverato di non tracciare le linee culturali e commerciali di Consequenze in modo preciso e ben definito. Nel Manifesto programmatico sono espressi con chiarezza i punti fondamentali del programma culturale. Oggi, in questo Convegno, tracceremo con maggiore profondità molti aspetti di questo progetto.
Il fatto di aver preferito fornire a coloro con cui mi sono trovato a parlare soltanto un impianto di massima, è stato frutto di una scelta precisa.
Potevo cominciare dall’alto. Trovare alleanze influenti ed economicamente vigorose e poi far partire da lì una proposta che cascasse a pioggia su tutti coloro che fossero interessati a una maggiore visibilità, a un’opportunità di lavoro e perché no, di successo. Mi potevo garantire appoggi esterni per così dire autorevoli per raggiungere in modo più agevole un pubblico vasto, grazie a metodi ben noti e collaudati.
Però avrei in tal modo riprodotto un modello deformante, un metodo classico all’italiana che ha prodotto sfaceli. Il modello dei vertici, delle gerarchie, delle autorità costituite. Lo schema consueto dei gestori dall’alto e dei sudditi che aspettano la manna o il gesto promettente o la promessa suggestiva.
Di tutto questo ne abbiamo abbastanza.
In molti amano definire un’iniziativa come questa come iniziativa dal basso. Io non so se questo che noi oggi rappresentiamo sia un basso o un elevato esempio di democrazia. Se però devo accettare quella definizione, che non amo particolarmente, mi viene da pensare a una spinta, a un impulso che provenendo da un’area ampia della popolazione, propone, inserisce, stimola, partecipa.
Questo è il fulcro importante della scommessa che ho fatto e che tutti coloro che partecipano a questo progetto hanno fatto. Creare una struttura di sostegno e di stimolo in grado di recepire e sviluppare i progetti che provengono dalla società civile e condivisi da artisti, intellettuali e cittadini. E quindi ho chiesto a chiunque incontrassi: “dammi il tuo progetto, proponi la tua libera iniziativa da collegare al resto della popolazione in un ambito di vicinanza, di cooperazione solidale. In una collettività che finalmente funziona e si rimette in moto senza aspettare la manna dal cielo, ma lavorando insieme, con progetti concreti, moderni, capaci di interpretare il nostro tempo e le reali dinamiche della nostra società per migliorarla in una sfera etica di sinergie produttive”.
Siamo tutti fermi ad aspettare il permesso di operare, di fare. Impantanati nelle paludi burocratiche delle attese e dei favori. Lasciamo il campo aperto ai furbi, agli amici degli amici, ai figli di papà. Dov’è finita l’inventiva degli Italiani? Dov’è finita la leggendaria capacità creativa degli italiani? L’ingegno imprenditoriale indipendente, l’abilità di produrre in modo anche artigianale dei grandi capolavori?
Possibile che il vizio assistenzialistico a cui accennavo prima ci abbia del tutto privato del sapere del lavoro? Possiamo farcela solo grazie al politico consenziente o al grande imprenditore che finanzia? Io dico di no. Noi diciamo di no, perché lo stiamo dimostrando, perché senza un euro che piove dall’alto, senza nessun appoggio politico, senza nessuna connessione con la grande imprenditoria noi riusciamo ad essere qui, riusciamo a realizzare un grande esempio di operatività e di valore civile.
Ecco l’importanza di raccogliere proposte e mettersi in condizione di realizzarle. Ecco la priorità nell’ascolto dell’altro e nel fermarsi al confine etico di consentire quell’espressione libera, onesta, leale col pubblico,
Io delle idee le ho. Le ho esposte nell’impianto intellettuale pubblicato in Rete. Ho delle idee commerciali, di mercato perché senz’altro provengo da un’esperienza imprenditoriale di tanti anni. Ma sono anche convinto che oggi, nel panorama che ci si presenta sia più utile lavorare insieme e semmai mettere insieme queste idee. Farle convergere. Unirci in un progetto comune e slegato dalle solite logiche che ci hanno danneggiato fino allo sfascio. Niente più apprendisti stregoni con ricette miracolose. Niente più salvatori della patria. Niente più uomini della provvidenza. Basta.
Riprendiamoci il futuro in quanto protagonisti della democrazia, del mondo del lavoro, della cultura.
Il progetto di lavoro di Consequenze prevede lo sviluppo di un’associazione nazionale, organizzata attraverso la partecipazione a tutti i suoi momenti decisionali di artisti e Cittadini, articolata in strutture decentrate sul territorio, che sul fondamento della creazione di una comunità integrata tra artisti e popolazione si propone di:
1. Tutelare la cultura e l’impegno artistico in quanto diritto sociale di tutti, in una libera, diretta ed autonoma fruizione.

2. Sostenere l’attività professionale nel rispetto delle individualità, il cui esercizio deve essere favorito attraverso un criterio di merito e grazie alla salvaguardia della possibilità di tutti all’accesso diretto al mercato e agli spazi di comunicazione con il pubblico.

3. Preservare, nell’interesse collettivo, l’impegno culturale e l’esperienza artistica, da ogni forma e genere di inquinamento, strumentalizzazione, repressione, isolamento, condizionamento, marginalizzazione, dequalificazione, da parte dei circuiti mediatici, editoriali, commerciali, finanziari e delle Istituzioni politiche e culturali.

4. Comporre un autonomo circuito produttivo e distributivo diretto e autogestito, in un rapporto non mediato tra cittadinanza e artisti, necessario a favorire il libero accesso al mercato dell’arte in ogni sua espressione, al di fuori degli attuali e obbligati canali d’inserimento commerciale e professionale e delle logiche di casta, cosca, cordata, stirpe che costituiscono purtroppo i criteri di selezione dominanti.

Consequenze si propone quindi di assolvere a una funzione riassumibile in 7 punti principali:

  1. Promuovere un’ampia fascia di artisti che oggi non hanno la possibilità di riferirsi a un pubblico vasto e quindi di veder coronati i frutti del loro lavoro in base al talento e al merito.
  2. Riunire, in un grande patto di lealtà e cooperazione, artisti e cittadini, per realizzare un comune progetto di integrazione, diretto allo stimolo positivo di produzioni di qualità, di nuove sperimentazioni e linguaggi, così come di recupero di tradizioni da cui non possiamo e non dobbiamo prescindere rispetto alla nostra stessa storia di artisti e intellettuali.
  3. Organizzare strutture permanenti finalizzate alla gestione di spazi autonomi e indipendenti, creare iniziative culturali e artistiche temporanee o anche itineranti, sedi di incontro, di integrazione, di confronto permanente, democratico e vivace, tra popolazione e operatori della cultura, quindi dialogo e collaborazione efficace tra cittadinanza consapevole e cultura responsabile e ben presente nel nostro tempo.
  4. Porsi al servizio della libera circolazione di idee ed energie, della libera diffusione di produzioni qualitative, e garantire un’informazione vera sulla produzione artistica indipendente. Essere quindi in condizione anche di offrire assistenza amministrativa (rapporti con enti e istituzioni), informazioni normative, tutela legale agli artisti, nel rapporto con istituzioni e soggetti privati.
  5. Costituire una rete di collegamento concreto e continuo tra artisti, una rete orizzontale aperta anche al pubblico che sia svincolata dai canali ufficiali consueti.
  6. Controllare l’operato delle Istituzioni e delle diverse imprese culturali (circuiti, produzioni, media settoriali) rispetto ai compiti istituzionali e allo svolgimento delle funzioni di diffusione delle opere nel rispetto della libertà di mercato. Perciò denunciare con rigore tutti i fenomeni e i singoli episodi di violazione della dignità e della libertà d’espressione degli artisti nel:
    a. libero accesso al mercato
    b. nella libertà d’informazione
    c. nella tutela dei diritti e della dignità del pubblico
    e tutto questo al di fuori da egemonie e monopoli vari.
  7. Proporre iniziative di cooperazione agli enti locali, alle istituzioni culturali, economiche, scolastiche, universitarie per ridare centralità alla cittadinanza, in un rapporto partecipativo tra espressione culturale ed esigenza civile e sociale.

Elaborare strumenti normativi, leggi, regolamenti utili a favorire e liberare l’accesso al mercato della produzione artistica indipendente ed essenziali per garantirne lo sviluppo normale, l’indipendenza, l’autonomia, l’integrità professionale degli artisti in un rapporto sano con la cittadinanza e in una relazione di equilibrio con l’editoria, con le strutture professionali e manageriali, con i circuiti mediatici, con gli imprenditori artistici, con la varie rassegne, mostre, concorsi e con i passaggi burocratici connessi ai processi valutativi della produzione artistica.
Individuare e suggerire strumenti normativi, amministrativi e giuridici di tutela, dell’interesse della popolazione a poter godere di un’informazione libera e plurale, di un’offerta culturale libera e plurale, non condizionata da monopoli economici, finanziari, politici e culturali, garantita e tutelata dal diretto accesso a una produzione artistica davvero indipendente e sottoposta soltanto a processi valutativi limpidi e onesti, che poi sottintendono al raggiungimento degli obiettivi professionali di ogni artista.
Regole quindi di legalità e trasparenza. Regole di giustizia e di democrazia.
Regole che valgano per tutti e che devono costituire ossatura e propulsione nell’impianto culturale e nelle dinamiche di mercato che realizzeremo.