orologioNel mondo del “cca nisciuno è fesso” siamo tutti fessi e quello che vige è la legge del più forte.
È uno scenario che non ci interessa. Se si parla di Cultura, la prima cosa da fare è ricomporre un’architettura culturale valida a partire dalla gestione e dal riequilibrio dei rapporti in una direzione di trasparenza e di competenza. Come accade in tutte le grandi capitali europee e mondiali che crescono e in cui si lavora in armonia e continuità. E se qualcuno crede che la strada sia quella di privilegiare le grandi centralità istituzionali a sfavore delle realtà che operano sul territorio e in particolare nelle periferie, ha davvero capito male.

Il testo del mio intervento in occasione dell’incontro sulla cultura con Michela Di Biase e Andrea Casu al Teatro dell’Orologio:
In alcune occasioni che hanno preceduto questo incontro abbiamo espresso una profonda preoccupazione per il deficit culturale che si è manifestato a Roma. Un deficit i cui sintomi rivelatori vanno dal malaffare diffuso, all’aumento della criminalità, al crescente imbarbarimento che si respira per le strade.
La principale causa della degenerazione che sta investendo ogni zona di Roma, nessuna esclusa, è senza alcun dubbio da ricercare nell’assenza di un progetto culturale organico, complessivo, efficace nella direzione del fare sistema con la città e adeguato rispetto all’intervento sociale che deve poter produrre. La cultura, in quanto esperienza collettiva e attivamente partecipata dalla popolazione, è l’elemento principale di qualificazione sociale per la comunità.
La politica ha per troppo tempo indugiato su modelli circoscritti nell’ambito del consenso e definiti nello spazio occupato da piccole e grandi centralità destinate a operare in un continuo e sconnesso rincorrere il bando e l’evento. Impossibile in questo scenario disorganico identificare una qualsiasi continuità programmatica e altrettanto irrealizzabile per le realtà che lavorano in questo campo, riuscire a creare un tessuto connettivo solido con il territorio in termini di comunicazione, promozione, partecipazione attiva della cittadinanza.
Su questi modelli si è instaurato un sistema fatto di collateralismi e intercessioni. Una gestione sempre più burocratica priva di indirizzi produttivi che di fatto ha spezzato e impedito il fluire di un sano rapporto tra l’offerta culturale e i Romani. La politica deve recuperare e riappropriarsi della sua funzione di intervento nei grandi processi sociali, e la cultura rappresenta il valore cardine inalienabile rispetto al quale una classe dirigente ha il dovere di garantire visione e indirizzo nei principi sanciti dalla stessa Costituzione.
Il panorama attuale testimonia squilibri, disarmonia e assenza di prospettiva. Troppe cose avvengono su un palcoscenico in cui associazioni e singoli operatori, se vogliono raggiungere una possibilità di iniziativa, sono costretti, volendolo fare, a “sapersi muovere”, sgomitare, accreditarsi ed entrare nelle grazie di qualcuno che può contare. Un recinto in cui bisogna rincorrere schemi che impongono di essere furbi, manovratori, amici degli amici.
Questo è un mondo che non è destinato a crescere e a migliorarsi e che non può agire positivamente nella società. È un universo sempre più ristretto e soffocante, fatalmente destinato a morire nella sterile difesa di orticelli sempre più aridi e limitati. Serve quindi una classe dirigente politica capace di determinare un sistema non più basato sul “sapersi muovere con furbizia” ma sul saper operare con competenza, saggezza e responsabilità.
Classe dirigente, figure istituzionali e naturalmente operatori, che collaborando in modo trasparente, introducano modelli in grado di interrompere il gigantesco vortice di illegalità che ha ingoiato Roma anche nel suo tessuto culturale di riferimento, di espressione e di utilizzo del patrimonio. Perché è chiaro a tutti, o almeno dovrebbe esserlo, che un sistema regolato da fattori ambigui, mal funzionanti e che crea criticità anziché risolverle, è anche un sistema che produce uno strisciante illegalismo, perché non ha regole chiare e condivise, e quotidianamente è esposto alla violazione delle regole stesse. Per convenienza, per cattive abitudini, per opportunità.
A questo illegalismo si aggiunge la paralisi delle attività migliori, quello stallo cioè provocato dall’appiattimento in un diffuso conformismo, funzionale all’accettazione delle modalità che assicurano l’autorizzazione, il reciproco assenso e il quieto vivere.
La naturale conseguenza di questo reticolato di patti e di aggiustamenti, non può che essere una programmazione e un’offerta disorganica e priva di prospettiva, caratterizzata soprattutto dal bagliore illusorio dei grandi eventi e da mille “eventini” che loro malgrado non riescono a produrre una ricaduta benefica e significativa sui territori.
Appare quindi evidente che le prime questioni che devono essere affrontate, riguardano l’architettura e gli elementi in qualche modo strutturali del sistema culturale romano.
Riguardano il profilo di coloro che dovranno determinare gli indirizzi dei nuovi processi culturali sulla base della capacità di interpretare il quadro di riferimento, del rigore con cui eserciteranno le loro funzioni e soprattutto della visione di futuro legata a Roma. Una visione autorevole, appassionata e ambiziosa.
Riguardano la ridefinizione di ruoli e rapporti nell’ambito di una progettualità nel lungo periodo che sappia destinare le risorse per renderle più consistenti e disponibili in modo definito, trasparente, razionale ed efficace.
Roma non è una città qualsiasi e pretende una prospettiva solida sulla quale ricostituire un tessuto culturale valido, dinamico e qualificante per tornare a ricoprire il ruolo che le compete.
Abbiamo quindi il dovere di mettere in campo le energie e gli impulsi migliori e dobbiamo farlo in questa fase, perché sono troppi i segnali che ci dicono che siamo arrivati a un punto di non ritorno.
“Il progetto culturale di cui Roma ha bisogno” deve servire a formare una coscienza civica attraverso riferimenti, percorsi ed esperienze che garantiscano, soprattutto alle nuove e alle future generazioni, di vivere la Città in un contesto di autentica crescita collettiva, di benessere e di protagonismo. Narriamo Roma nella dimensione che merita questa città e affidiamola ai giovani nella prospettiva che le deve appartenere.

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