Sunday, 1926 - Edward Hopper

Il regno mafioso della partitocrazia

Sotto il profilo terminologico e concettuale, è opportuno premettere che il termine “partitocrazia” è generalmente inteso come sistema di potere che ottiene ispirazione e nutrimento dall’esistenza dei partiti politici.
Altrettanto doveroso è sottolineare che i partiti politici, in quanto corpi intermedi di rappresentanza che si riferiscono a identità e valori ben definiti, non esistono più da circa mezzo secolo.

Gli strumenti fondamentali di verifica e informazione ci indicano con questo termine una serie variegata e multiforme di fenomeni mediatici e aggregativi di cui è facile e immediata l’individuazione di caratteri ricorrenti perfino superflui da elencare.
Dal punto di vista socio-culturale bisogna sottolineare che la partitocrazia affonda le sue radici culturali, storiche e antropologiche nel fertile terreno di un paese avvezzo al corporativismo e alla sottomissione. Germogli comuni ad altri fenomeni, tipo la diffusa tradizione mafiosa, che potrebbero spingerci a esaminare la questione anche dal punto di vista criminologico.

In ambedue i casi infatti, gli affiliati a queste zone oscure negano l’esistenza stessa delle aree di appartenenza in cui esercitano le loro attività. Se interrogati dicono: “La mafia non esiste” o “la partitocrazia non esiste”. Nessun esponente che opera in funzione di un simbolo partitocratico ammetterebbe di far parte di un perverso apparato di potere.
È un fenomeno camaleontico e mimetico, nel contempo sempre profondamente uguale a sé stesso, le cui specificità antropologiche, culturali e psicologiche caratterizzano il pensiero del dominio come unico e ineluttabile.
I termini “ministro”, “sindaco”, “assessore” e simili, celano uno stato d’animo, una filosofia della vita, una concezione della società, un gelido codice gerarchico, che costituiscono un modo di essere e di pensare e che appartengono non solo agli uomini di una determinata organizzazione ma attraversano l’intera comunità.

La partitocrazia è un modo di imporre il potere nel rispetto dei modelli del carrierismo e dell’interesse privato, appresi nelle segreterie di partito, che a loro volta non sono altro che comitati d’affari intenti all’occupazione di ruoli di potere e controllo.

Un sistema parapolitico
Semplificandone le manifestazioni, potremmo definirlo “sistema autoritario” ed esaurire in tal modo il ragionamento a esso legato. Occorre però restare sul concetto della dimensione culturale e antropologica per comprendere fino in fondo il livello di condizionamento complessivo che esso ha saputo diffondere nelle masse.
È un tipo di pensiero che si riferisce al favore e all’utile dei vertici e tende a ignorare le istanze popolari e sociali. Un pensiero saturo di egocentrismo in cui la relazione con la collettività interviene unicamente per motivi di consenso. Infine, va sottolineato che la richiesta di adesione da parte di questi apparati è finalizzata solo a ingigantire e proteggere gli spazi di potere da essi esercitati.

Qualcuno potrebbe rilevare che all’interno di queste strutture è frequente la creazione di bande autoriferite che, pur riconoscendo una matrice comune, si organizzano in modo autonomo sfruttando particolari condizioni ambientali o eventi specifici su cui convogliare forme di sostegno in seno alla cittadinanza.
Ma è altrettanto vero che le guerre intestine che si verificano all’interno delle varie fazioni restano confinate nel solo contesto di spartizione sul mercato dei voti. In questa sede si produce generalmente la ricomposizione degli equilibri tra i capi che si riallineano nel reticolato delle concessioni gestionali ed economiche. Un aspetto particolarmente caro alle diverse bande è quello delle nomine, grazie alle quali i vari ras mantengono il controllo delle strutture che garantiscono loro il favore di specifici aggregati popolari.

Se è vero che, nel contesto dei comportamenti tipici di questo universo, possiamo rilevare un’evidente tendenza all’aggressione verbale talvolta espressa in forma misera e volgare, è anche bene evidenziare che sono totalmente assenti manifestazioni di violenza fisica.
In un fenomeno, per quanto illegittimo, che nel tempo è divenuto ordinario ed è stato pertanto legalizzato, sarebbe infatti irragionevole ricorrere all’uso della forza. La stessa strategia che lo stesso governo sta cercando di attuare attraverso la legalizzazione delle mafie, al fine forse di ridurre gli episodi di ritorsione omicida ma soprattutto per inserirla organicamente nei flussi economici collegati spesso alla stessa partitocrazia.

Le caratteristiche degli affiliati a questa organizzazione sono riconducibili a una comune assenza di scrupoli e alla netta separazione da un qualsiasi codice etico riferito all’interesse generale.
Generalmente laureati ma privi di particolare spessore intellettuale, costituiscono una specie molto legata alle simbologie, ai rituali e a varie forme di rappresentazioni liturgiche. Non hanno cura delle giovani generazioni e probabilmente non esprimono una particolare dedizione nemmeno verso i loro figli, a meno che questi non si rendano protagonisti di fatti violenti o abbiano bisogno di un posto di lavoro.

Il controstato
Difficile stabilire se la partitocrazia potrà in futuro essere ridimensionata o addirittura scomparire. Trattandosi di una realtà che ha ormai infettato ogni nucleo della società attraverso lottizzazioni e controllo mediatico è difficile prevederne un arretramento.
Il disimpegno disilluso e rassegnato della popolazione ha assottigliato la partecipazione delle comunità alla vita politica e il forte calo di affluenza in occasione delle tornate elettorali costituisce un punto di forza per le dirigenze partitocratiche.
Esse infatti hanno ben compreso il vantaggio che proviene dal poter operare nell’assenza assoluta di pensiero critico che permette loro di separarsi dalla realtà e potenziare la sfera di influenza con cui ingigantire corruzione e malagestione.

Un circolo vizioso su cui è molto complesso intervenire. Lo strumento del voto popolare, che dovrebbe fungere da regolatore democratico, è ormai parte di una ritualità priva di senso alla quale partecipano i complici del malaffare, i tifosi delle varie fazioni e una fetta sempre più ampia di sottoproletariato culturale. Ci aggiriamo tuttavia su percentuali abbastanza contenute la cui dimensione tenderà ulteriormente a scendere.
Il voto d’opinione non esiste più da un pezzo e la morte delle grandi ideologie ha determinato uno smisurato minestrone fatto di slogan e influencer che altra espressione non possiede se non quella di un evento spettacolare perfetto per riempire i palinsesti televisivi.

Gli assetti partitocratici hanno prodotto una caricatura della democrazia che presenta alcuni connotati inquietanti.
Un panorama animato da boss di vario livello che lottano per la spartizione di zone di influenza e territori sottratti al controllo dello Stato. Occupano quindi una vasta area di “controstato” nella quale possono operare a mani libere e in totale impunità.

Potremmo rivolgerci alla Magistratura ma anche in questo ambito, lo scontro in atto è ormai trentennale e ha creato un clima che è una metastasi aggiuntiva che si somma alla crisi profonda della nostra democrazia.

Buone elezioni europee a tutti per l’ennesima buffonata che porterà nell’agone burocratico per eccellenza, oltretutto con un peso politico e diplomatico irrilevante, una fetida schiera di narcisisti, faccendieri e subrettine.

Nel segno della partitocrazia mafiosa che regna nel nostro paese.

Stefano Pierpaoli
02/05/24

Lascia un commento