L’espressione artistica, nelle sue molteplici manifestazioni, costituisce senza alcun dubbio una delle più elevate esperienze umane legate alla creatività, alla fantasia e alla ricerca: l’esteriorizzazione di un’interiorità individuale, quella appunto dell’artista, che cento anni fa trasse un impulso smisurato dalla scoperta dell’Inconscio e della Relatività, universi infiniti e fino ad allora totalmente sconosciuti.

Nel senso di quella ricerca compiuta nello studio, nella sperimentazione artistica e nella stessa analisi delle dinamiche storiche e sociali, si produce, attraverso la rappresentazione nelle sue diverse forme, il viaggio verso un ignoto composto da infiniti tentativi di identificare, afferrare, interpretare realtà inesplorate e quindi indecifrabili fino al momento della scoperta.

Il compito arduo di scavare in queste verità oscure è stato ricoperto dalle avanguardie culturali che hanno animato gli scenari artistici, ma non solo, del XX secolo. L’indagine, l’assimilazione, così come la capacità preveggente e la provocazione hanno rappresentato linfa e traguardo per le vivaci fantasie creative di artisti capaci spesso di influenzare perfino il cammino della Storia.

L’ultimo grande esempio di avanguardia è probabilmente la Beat Generation, dopo la quale un forte arretramento della presenza artistica nella sua efficacia sociale, ha determinato un progressivo assoggettamento a processi fortemente subalterni alla massificazione, alla comunicazione omologante, alla ideologia del mercato. La Pop Art, impressionismo di fine secolo che tentò la critica nei confronti della società dei consumi, ne venne fagocitata proprio per la debolezza del messaggio che voleva imporre e per la chiara tendenza a divenire immediatamente oggetto di culto fine a se stesso e unicamente strumento mercantile, cinicamente offerto alla vanità e al narcisismo.

Questo orientamento, orbo, ipocrita e sottomesso, è proseguito negli ultimi trent’anni senza soluzione di continuità. La presenza e la consistenza sempre più marginale degli intellettuali engagé, così come l’impegno simulato di artisti asserviti al sistema, hanno generato molte delle condizioni degenerative che hanno caratterizzato il costante svuotamento di riferimenti culturali e nulla hanno potuto opporre a una globalizzazione selvaggia, alla disumanizzazione del lavoro, al delirio delle ideologie del mercato.

È probabile che si sia giunti tuttavia a un periodo di svolta che impone il recupero di punti fermi e di riferimenti affidabili.

Occorre una profonda riflessione sull’importanza che deve avere una presenza artistica cosciente e attiva nella società. L’opera d’arte può essere ancora fonte di testimonianza avvincente e risolutiva laddove esista valore e reale consapevolezza. Laddove la creatività sposi un grande progetto collettivo fondato sull’impegno e sull’onestà intellettuale. Laddove il coraggio della sperimentazione ritrovi la capacità di anticipare i processi sociali e il vigore per concorrere al progresso civile dei popoli nel segno di una crescita comune che deve riguardare tutti.

Il ruolo sociale dell’artista deve recuperare il senso della realtà e con esso il rapporto sano con la cittadinanza, attraverso un grande lavoro realizzato a contatto con la popolazione e strettamente collegato con i sentimenti popolari, esplicitati nei malesseri più manifesti o soffocati dalla rassegnazione o dall’ignoranza.

Affermare la dignità dell’uomo e garantire strumenti di libertà e conoscenza sono parte integrante della funzione sociale dell’arte, e nel rispetto di quella scelta così interiore, quasi primordiale e mistica, che l’artista compie quando stravolge il suo inconscio per generare tangibili pezzi di fantasia e offrirli all’altro, l’esaltante scommessa insita nella voglia di alterare nel bene, ha molto a che fare con la sopravvivenza della razza umana.

SteP
Settembre 2009

 

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