Consequenze Network promuove e partecipa a Indicinema
Progetto di promozione e sviluppo
del Nuovo Cinema Indipendente Italiano

Mostra Internazionale del Cinema
6 settembre 2011 – Lido di Venezia Casa degli Autori

orfini veneziaIntervento di Matteo Orfini – Responsabile Cultura Partito Democratico
Voglio accogliere l’invito di Pierpaoli a contestualizzare e quindi partire recependo una cosa che voi avete detto e cioè che il cinema italiano non è in grande salute.
E’ bene ripeterlo perché è vero che a volte qualcuno dice l’opposto.
Penso che nessun pezzo del nostro paese sia in grande salute in un momento in cui è chiaro che siamo in una situazione piuttosto delicata. Non è in grande salute perché siamo in un sistema vecchio, regolamentato da norme vecchie, vecchie sono le proposte di modifica che sono in parlamento, anche la nostra. Proposte che mostrano il segno degli anni e che avrebbero bisogno di una certa revisione se non rivoluzione in questo caso. Mi pare che i tanti cambiamenti di cui stiamo discutendo ci dicono che non si può ripartire da lì.  E che però questo cambiamento che ci investe interroga anche noi, nel senso che è chiaro che la domanda vera che viene da chi vive in questo settore è quella di una seria discontinuità che ovviamente non ci sarà in questa legislatura, ma nei meccanismi di funzionamento del sistema. Cioè non se ne può più di istituzioni che si presentano con il volto dell’arbitrarietà della scarsa trasparenza, della mancanza di visione e di segno univoco alle politiche. Perché servono le riforme, ma servono le politiche quotidiane necessarie a indirizzare il sistema non in modo confuso a seconda di chi le mette in pratica.
Dopo di che interroga in generale quello che noi pensiamo del sistema cinema in questo paese. Il punto vero è che noi siamo in un paese in cui chi fa i film oggi lo decidono tre persone: l’amministratore delegato di rai cinema, l’amministratore delegato di medusa e il direttore generale del ministero. Sotto questo livello ci sono tanti poteri che si organizzano e usano i rapporti, però il dato vero oggi è quello. Allora noi dobbiamo capire se questo sistema funziona e ci va bene, o se vogliamo lavorare per scardinarlo. Scardinarlo significa però anche che la risposta alternativa non può essere  nell’autogestione degli operatori del settore. Cioè non si può pensare a un modello in cui più corporazioni si organizzano per dividersi una torta che per altro è sempre più residuale, perché non funziona neanche questo o – se  funziona –  non è il migliore dei mondi possibili verso cui noi dovremmo provare a indirizzarci.
Questo significa che prima di tutto è necessario che quella torta si ampli, altrimenti è inutile anche discuterne. Perché è vero che il nuovo ministro ha mostrato maggiore resistenza a Tremonti rispetto al precedente ministro, non so però cosa accadrà nelle prossime settimane, tenendo presente poi che quanto è stato garantito fino ad oggi viene continuamente messo in discussione. Ad oggi c’è uno scoperto sulla manovra di qualche miliardo di euro che non è chiaro come verrà coperto.
Non credo che quindi si possano dormire sonni tranquilli sul fatto che questo settore come altri non venga di nuovo aggredito. Ma dire che serve una torta più grande significa che noi dobbiamo affermare l’esigenza di un investimento pubblico incardinato sul ministero dei beni culturali che garantisca la produzione di quei film che non possono essere lasciati a misurarsi col mercato, e che garantisca anche sostegno all’innovazione. Poi c’è bisogno di incardinare sul ministero dello sviluppo economico politiche industriali che aiutino la filiera e quel pezzo delle produzioni cinematografiche che possono acquisire una dimensione industriale e competere sul mercato. Fermo restando che dovere dello stato è quello di investire su innovazione ricerca e sperimentazione. Dire questo significa anche capire qual è il sistema che noi abbiamo in testa  e quale spazio deve avere in questo sistema ciò che noi chiamiamo cinema indipendente. Questo è,  per come la vedo io,  il ruolo per cui ha senso che esista Indicinema, cioè quello di avviare una battaglia  per affermare che nel sistema cinema che noi abbiamo in mente per questo paese ci sia il cinema indipendente. Che venga, tutelato, incentivato e garantito, non per autocostituirsi in un’altra di quelle corporazioni che chiedono l’autogestione di un pezzo dell’industria del cinema. E’ del tutto evidente che noi abbiamo bisogno nella riforma di pensare quali possano essere gli strumenti legislativi che aiutino la definizione di ciò che è il cinema indipendente. C’è bisogno di una definizione, di capire quali sono poi gli strumenti che possano incentivare lo sviluppo di un industria del cinema indipendente. C’è bisogno di capire quali possono essere gli strumenti di politica industriale., al di là dell’aiuto del ministero, che sostengano lo sviluppo di un industria del cinema indipendente, non solo del cinema indipendente. Noi dobbiamo anche capire cosa possiamo fare oggi e cosa possiamo proporre oggi per andare in quella direzione. Ora alcune cose sono state dette, noi l’abolizione del reference system la proponiamo da circa un anno in ogni sede, avevamo anche ricevuto promesse di ascolto da parte del nuovo ministro, ma poi come sempre i ministri sono spesso molto interessati a dibattere sui giornali e poco sugli uffici del ministero che frequentano sempre meno. Però tra quelle cose che si possono fare subito noi alcune le avevamo proposte e io le voglio ripetere. La prima è che se noi cambiassimo l’utilizzo attualmente odioso dei famosi ristorni per dedicarli al sostegno di quello che chiamiamo cinema indipendente forse sarebbe cosa buona e giusta. Io penso che quel tesoretto di risorse possa e debba essere investito come fondo di sostegno e produzione per il cinema indipendente. La seconda cosa un po’ più complicata è di cambiare la norma sugli obblighi di investimento come in occasione di un convegno sul cinema del Brocco ci ha chiesto. Questo si può fare come si può fare contestualmente un estensione dell’obbligo di investimento, naturalmente modulato sulla specificità di quei soggetti, a chi oggi non ce l’ha. Penso a Sky ma penso anche alle telecomunicazioni. Che sarebbe la vera norma che scardina quel meccanismo per cui oggi a decidere chi fa i film in Italia sono tre persone. Questo è uno di quei provvedimenti che permetterebbe a questo paese di avvicinarsi, ad una forma seppur embrionale  ma rivoluzionaria di pluralismo produttivo vero. Poi c’è una terza cosa che non c’entra con ciò che abbiamo detto, e con cui chiudo, anche perché è il giorno dello sciopero generale, che con una norma semplice noi potremmo correggere la Gasparri inserendo la nazionalità italiana per le fiction legandola anche al numero di giornate lavorate sul territorio nazionale sconfiggendo in un secondo la piaga della delocalizzazione produttiva che tanto fa male ai nostri lavoratori. E’ aberrante che una norma pensata come sostegno del cinema italiano diventi una forma di sostegno al cinema serbo, ed è una cosa assurda. Questa è una norma che farebbe sviluppo nel nostro paese, marginale, ma quelle centinaia di milioni di euro usate per fare fiction almeno potrebbero essere spese sul territorio nazionale contribuendo ad alzare un po’ quell’asfittico tasso di crescita che è la vera piaga che questo paese ha e che gli impedisce la riduzione del debito pubblico in una spirale recessiva che sta uccidendoci.
Mentre noi discutiamo di come riformare davvero il sistema dobbiamo anche cogliere le opportunità di una crisi drammatica che stiamo vivendo, in cui in parlamento c’è il caos, ma in questo caos si riesce ogni tanto a far passare qualcosa. Adesso sfideremo formalmente il ministro su questi temi per capire se qualcosa, per lenire le sofferenze di un settore che non è in grande salute, riusciamo a farla.

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