“La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge”
Così recitava l’articolo 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino emessa dall’Assemblea nazionale francese il 26 agosto del 1789. Si trattava di un testo rivoluzionario posto come preludio alla Costituzione francese che sancì la genesi della democrazia moderna.
A questo e ad altri principi democratici si sono sottratti molti regimi dittatoriali con forme di repressione che sopravvivono purtroppo anche ai nostri giorni.

Totalitarismi di diversa matrice hanno applicato strategie repressive grazie soprattutto all’uso della violenza, adottando un metodo “comportamentista”, quello cioè in cui non conta ciò che la popolazione pensa ma che si basa esclusivamente sul controllo e sul soffocamento di qualsivoglia attività libera considerata lesiva per il regime. Obbedienza e sottomissione per non subire torture, prigionia, eliminazione fisica.
Anche i sistemi democratici, fin dall’inizio del ventesimo secolo, hanno avvertito l’esigenza di produrre strumenti di controllo in grado di guidare e gestire le masse, ma non potendo utilizzare mezzi dichiaratamente violenti, hanno messo a punto forme di condizionamento sviluppate in particolare sui processi di comunicazione. Informazione, offerta culturale, indirizzi di consumo hanno assunto progressivamente un ruolo sempre più subalterno alle dirigenze politiche e finanziarie. Grazie a un sistema di concatenazioni si è generato un circuito di riferimenti immediati e di facile uso. La semplificazione dei fenomeni e delle dinamiche sociali hanno consentito di modulare i bisogni o le emergenze, offrendo in particolare ai media, comodi strumenti di indottrinamento e di interpretazione della realtà. Indici percentuali, sondaggi e rappresentazioni selettive hanno assunto il ruolo di paradigma della percezione della società, nell’indirizzo indicato e imposto dalle classi dirigenti.
Tuttavia, fino agli anni ’80, tutto questo avveniva nel contesto di un sistema di valori ancora solido, e i confini rappresentati dall’etica dell’impresa e della politica (allora ancora presenti) uniti a una morale complessivamente compatta, obbligavano i vertici a scelte moderate e ben inserite entro canoni di equilibrio.
La forte spinta neoliberista e la de-generazione politica che ha posto definitivamente gli esecutivi al servizio della grande finanza hanno imposto modelli di comunicazione sempre più omologanti e mistificatori. È difficile stabilire il punto di crisi che ha causato il crollo di quel sistema di valori sul quale, bene o male, avevamo costruito la nostra storia fino ad allora. Tuttavia è assai probabile che proprio il bombardamento degli impulsi devianti che provenivano dai media, abbia contribuito fatalmente al deterioramento dei riferimenti essenziali per una sana crescita comune.
La semplificazione di un tempo è stata portata all’eccesso. Esasperando i toni e le rappresentazioni (conflittualità, volgarità, integralismi) si è andato a incidere profondamente sugli stessi sentimenti degli individui. L’uso scientifico di emozioni indotte ha creato un ambiente animato da paure e smarrimenti, ma al tempo stesso ha saputo trasmettere suggestioni benefiche finalizzate alla rassicurazione e alla diffusione del “fittizio ottimismo”.
È la paura il sentimento imperante di questo tempo, ed è sull’uso della paura che si gioca il sistema di controllo e repressione attuato in questo ultimo periodo.
L’offerta culturale, l’intrattenimento e il momento aggregante sono abilmente gestiti e proposti sotto forma di fenomeni di massa. Sagre, feste, notti bianche, punti di ritrovo specifici e manifestazioni ben confezionate dagli apparati burocratici eliminano l’impaccio della scelta individuale e allontanano il rischio della paura.
Al di fuori di questo gran circo esistono zone di nicchia, ghetti per lo più autoreferenziali, luoghi e iniziative in cui comunque i partecipanti a vario titolo si riconoscono senza fatica. Riproduzioni in piccolo delle notti bianche o del festival di turno.
Nel frattempo una popolazione sempre più oppressa da problemi economici e aggredita dalle esasperazioni dei media si aggira diffidente per le strade. Tra una festa popolare e l’altra, resta isolata e timorosa, non prende iniziativa e sogna solo la sua tana, in cui potrà auto-reprimersi in tutta libertà.
La libera iniziativa, l’opzione indipendente, le scelte cioè che obbligano a mettersi in gioco al di fuori da esplicite appartenenze, sono parte di un mondo che stanno cercando di soffocare. Sono parte di un mondo fatto di diritti e di spazi di civiltà in cui la fruizione culturale, l’accesso all’intrattenimento offre numerose possibilità diversificate.
Nelle strategie politiche e nella gestione culturale sembra che le soluzioni prescelte rispetto alle emergenze sociali siano rappresentate dalla deportazione/esclusione (immigrati respinti, costruzione di carceri, istituzionalizzazione della precarietà). Nel caso dell’offerta culturale al termine di questo viaggio buio e inquietante sembrerebbe presentarsi un’unica alternativa: l’anfiteatro con duelli all’ultimo sangue e belve che sbranano. Deportazione per risolvere i problemi e Colosseo per offrire svago al popolo. Dinamiche primordiali al servizio della paura e degli esorcismi.

L’ultima repressione è una scia pestilenziale che scorre per le strade e avvolge la popolazione, è un alone venefico e paralizzante che rischia di metterci uno contro l’altro.

29 settembre 2009

Stefano Pierpaoli

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