La lettera aperta e pubblica veniva recapitata alla fine di luglio alle massime cariche cittadine.
Il decantato dialogo, annunciato ai quattro venti dalla nuova amministrazione, è rimasto elemento sospeso nel vuoto. E a ben vedere, di vuoto ce n’è stato più di uno.
Un’occasione persa per dimostrare ai Cittadini che le classi dirigenti non sono entità svolazzanti fuori dalla storia e dai contesti sociali. Per far capire a tutti che c’è capacità interpretativa della realtà e profondo senso di responsabilità nei confronti delle istanze che provengono dalla popolazione. Per dare prova di competenza, attenzione e sensibilità in un momento delicato e cruciale nelle dinamiche dei rapporti con ampi settori della società.
“Siamo ottimisti”. Questo mi venne detto alla fine dell’ultimo incontro e, come si può ben immaginare, un confronto posto nell’ottica delle superstizioni, esercitava uno scarso fascino nel sottoscritto, tanto da spingermi a optare per un’attesa più saggia e stimolante di una serie di sterili colloqui. Magari il loro ottimismo era ben riposto.
In quei giorni di pausa ho ripensato ai mesi trascorsi (due anni e più) a scrivere di una fase tormentata che si stava per aprire. Agli appelli per dare vita a una realtà nuova per il Paese nel segno di una stagione di autentico cambiamento. Ai tanti incontri pubblici in cui descrivevo un progetto slegato dalla politica e capace di camminare con le proprie gambe verso un’indipendenza di iniziativa e di progetto.
Stefano Pierpaoli
Marzo 2010
Ho ricordato l’evanescenza della partecipazione e l’inconsistenza nell’impegno di tanti che facevano finta di ascoltare. I tradimenti e gli egoismi. Le burocrazie dei centri sociali, tanto simili a quelle dei palazzi. Le telefonate di tanti giovanissimi amici che esordivano con: “Novità?…”. Per le res novae ci vuole coraggio e determinazione. Onestà intellettuale e impegno civile. Ci vuole tanto lavoro serio e coscienzioso. Passione e non arrivismo.
Ora osservo grandi movimenti che stanno prendendo sempre più forma, slegati dalla politica e consapevoli della necessità di dialogo e rinnovamento. Percepisco spinte moderne per iniziative libere e indipendenti. Masse pacifiche che pur subendo tentativi di violento disturbo, individuano il disagio e si incontrano per confrontarsi nella democrazia.
Sono triste e felice al tempo stesso. Triste perché lo scontro si poteva e si doveva evitare. Triste perché manganello e provocazione sono spesso figli della stesse disperazioni, economiche o intellettuali che siano.
Felice perché quest’onda porta sapori nuovi e volontà diverse. Forse esiste un popolo che vuole camminare con le proprie gambe e forse avrà il coraggio di rimboccarsi le maniche e invece di correre dal burocrate di turno, sceglierà di ragionare con maturità su progetti comuni.
Qualcuno proverà a contrastare quest’onda e qualcun altro tenterà di cavalcarla. Ambedue le imprese sono di complessa realizzazione. Una politica vecchia, dalla retorica obsoleta e ormai impantanata nella demagogia più becera, avrà il suo bel da fare per sottrarsi all’obbligo di un ripensamento su se stessa. Le classi dirigenti, comprese quelle culturali, dovranno rigenerarsi e recuperare contatto con la società civile, prima di affrontare il confronto sui temi di una realtà che poco conoscono.
Perchè questa nostra malandata democrazia ritrovi solidità e fiducia, ha bisogno di politici che passino dalla rappresentazione alla rappresentanza, così come gli elettori dovranno rinunciare a un ruolo da tifosi strilloni e rissosi, per diventare massa critica, colta e consapevole ed essere protagonisti nel governo delle scelte future.
Nel frattempo, mentre noi diamo vita a bipartitismi all’americana, gli Stati Uniti implodono ma danno prova di vitalità. Stanotte potrebbero perdere sia i Repubblicani che i Democratici. Per la prima volta vincerebbe il terzo partito, quello con un uomo di colore alla sua guida.