Visus e Thanatos

I sempre visibili al gran ballo della dopamina

Nel “Disagio della Civiltà”, Sigmund Freud descrive come l’individuo, procedendo nel suo percorso evolutivo, sia costretto a vivere forme di repressione che aumentano nel corso del tempo.
Si tratta di costrizioni che provengono dall’ampliarsi della nostra sfera sociale e dalle compressioni emotive e affettive che ne derivano.

Il bambino che piange per la poppata o pretende attenzioni in uno stato di bisogni non mediati, quando cresce si trova sempre più a misurarsi con i limiti imposti dal mondo che lo circonda. Deve compiere un viaggio di rinunce in base al rapporto con gli altri e in questo processo, Freud individua il passaggio dallo stato di piacere e quello di realtà. È un transito che avviene tra i 3 e i 5 anni.
Questo è il momento in cui la pulsione elementare che reclama una rapida soddisfazione, si trasforma pian piano in mediazione tra le proprie esigenze e quelle degli altri. Secondo lo psicanalista austriaco, il tragitto che obbliga a metterci in relazione con gli altri, comporta inevitabilmente una sofferenza dovuta al rinvio o addirittura alla privazione dell’appagamento primordiale e istintivo che aveva marchiato i nostro bisogni.

Su quel dolore si forma la nostra personalità. Le pulsioni elementari vengono progressivamente sostituite dalla capacità di riconoscere regole e confini. La voglia incontenibile si rielabora per diventare desiderio cosciente. La prevaricazione originaria si tramuta in collaborazione.

Questo non significa che la nostra parte irragionevole, si perdoni la definizione, svanisca nel nulla e si perda negli spazi siderali. In realtà resta sommersa in una sfera inconscia che viene sovrastata dalle due grandi aree che abbiamo edificato grazie all’educazione, alle esperienze, all’istruzione. Su un cammino di rinunce e faticosi adattamenti siamo in possesso di un codice comportamentale (Io) e di una coscienza (Super-io).
Abbiamo pagato un prezzo alto per imparare a convivere con gli altri e per riconoscere ciò che è giusto da ciò sbagliato, ma siamo diventati grandi. Siamo finalmente cittadini del mondo e protagonisti della nostra storia.

“Il Disagio della Civiltà”, scritto nel 1929, ci descrive tuttavia una scalata difficile e destinata, appunto, a subire un crescente disagio. In estrema sintesi, secondo la previsione di Freud, il progresso avrebbe determinato nuovi assetti sociali e contesti di convivenza sempre più complessi, tali da imporre su ciascun individuo una pressione sempre maggiore composta da sacrifici e costrizioni. Un orizzonte segnato da nevrosi e dissociazioni.

Nei decenni successivi, a partire dal dopoguerra, siamo riusciti a scongiurare questo epilogo. Grazie al perfezionamento dei governi democratici, all’aumento del benessere e soprattutto alla diffusa crescita culturale, il fattore principale per gli strumenti necessari a migliorare la qualità della vita.
Perfino le dimensioni di scontro, in particolare negli anni ’60, avvenivano in un clima intellettuale e culturale così denso di significato, da riuscire lo stesso ad alimentare le buone idee e l’innovazione sociale.
Eravamo attori principali nel perenne e meraviglioso conflitto tra Eros e Thanatos, di quella lotta perpetua del desiderio che contrasta la paura, della sana prospettiva che combatte lo stimolo violento, dell’espansione della libertà che si oppone all’oscurità dei totalitarismi.
L’Eros agiva nella sacralità del nostro privato, fatto di emozioni, sentimenti, sessualità che sarebbero andati incontro e senza timore anche a una rivoluzione dei costumi travolgente ed esplosiva. Vincemmo anche quella sfida ma qualcosa cominciò a scricchiolare.

Le grandi certezze che avevamo interiorizzato, che pensavamo intoccabili, si infransero in un’arena di rivalità e obblighi di prestazione.
Le regole da rispettare o da infrangere persero peso e sostanza. Fu come sentire, chissà per quale motivo, di aver raggiunto la vetta e potersi sedere a godersi la vista. Il panorama era però sempre più distante e mentre pompavamo i muscoli per essere più forti del nostro vicino, le terre che erano state nostre, trovarono un nuovo padrone. Un dominatore talmente potente da ridisegnare il paesaggio fino a farlo sembrare vero.

Le democrazie si inaridirono, il benessere cominciò a calare e la nuova cultura non sopportava la conoscenza e venne divulgata non più per renderci più liberi ma per produrre bisogni e forme di sottomissione.

L’errore di Freud era stato quello di averci relegato nel solo ambito biologico dell’essere vivente. La sua profezia si rivelò inesatta perché l’individuo è in realtà il prodotto/artefice della storia. Almeno fino a quando ne è parte integrante grazie allo scontro Eros-Thanatos che gli permette di governare la sua storia.
Ma se diventa un oggetto da vetrina, intento a mostrarsi prestazionale e condivisibile, cosa resta di quell’Eros intimo e possente che protegge il desiderio e la prospettiva del futuro?
Se lo spazio privato, che andrebbe custodito con cura, si trasfigura in superficie visibile e di pubblico dominio, cosa resterà da opporre al Thanatos?

La nuova cultura ha imposto impulsi elementari e soddisfazioni immediate. Potremmo definirla un labirinto di dopamine che alimentano un incessante stato di piacere. Una zona eternamente bambina in cui si può esigere l’appagamento perché sarà sempre a portata di mano. Si chiamerà divo o influencer. Avrà l’aspetto di un conduttore Tv o di un dittatore.
Il nostro Thanatos non porta la camicia nera e non costruisce forni crematori. Non possiamo però escludere che si riveli infinitamente più spietato.

Eppure basterebbe rimettere in ordine gli istinti elementari. Riportarli nella cuccia dell’inconscio e prenderci cura della sola esistenza che conta davvero. Quella che vigila sui nostri comportamenti grazie a una coscienza che fa i conti col reale.
Le belle rivoluzioni non sono roba per onanisti né per simulatori. Possono essere fatte solo da persone vere, con parole vere, suoni veri, odori veri, sapori veri.

Rinunciare alla cultura dello sballo non è così difficile ed è una scelta che ci permetterà di non abbassare la testa di fronte al padrone e di non permettere la facile vittoria del Thanatos. La sfida contro le droghe del potere può diventare perfino un bel gioco.

È una ribellione che dobbiamo a noi stessi e da quel momento, possiamo esserne certi, l’Eros tornerà a mostrare il suo straordinario potere fino a farci riconquistare il nostro privato e la nostra identità. È il punto di partenza verso la felicità.

Un bel volo fatto di giuste rinunce per diventare grandi. Per essere donne e uomini che costruiscono la storia e sanno allontanare le guerre e le sofferenze.

Stefano Pierpaoli
16/05/24

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