Con il Forum abbiamo dato vita a un’agorà di dibattito e di ragionamento sugli strumenti da mettere in campo per il rilancio del cinema.
Molte volte mi hanno chiesto di definire cosa si intende per “cinema indipendente”, ma aldilà delle formule regolamentari utilizzate da organismi associativi e istituzionali, ritengo riduttivo ed erroneo per qualsiasi forma creativa il dover ricorrere a un codice attributivo che definisca l’indipendenza.

Preferisco pensare all’indipendenza in quanto autonomia e in quanto spazio di pensiero e di iniziativa legato alla conoscenza.
Come una creatura ne acquisisce progressivamente imparando a camminare da sola, a parlare e a riconoscere il mondo circostante, così ogni individuo aumenta la sua dimensione di libertà grazie al sapere del lavoro, al livello di coscienza sociale e quindi alla possibilità di oltrepassare i confini più prossimi fino a poter esplorare cosa c’è oltre l’orizzonte.
Se il nostro cinema, così come gran parte della produzione culturale italiana, ha subito un complessivo intorpidimento espressivo, le cause sono da ricercare nell’assenza di ricerca e nella mancanza di processi di apprendimento professionale che stimolassero l’anima e il viaggio verso l’ignoto, che altro non è se non il percorso della conoscenza stessa.

Per colpa degli orientamenti indotti e limitanti, tipici della dimensione anti-intellettuale che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni, ci siamo abituati a guardare il mondo dalla finestra di casa, con uno sguardo sempre più condizionato dai soggetti dominanti e dalla paura, figlia in gran parte della poca autonomia e delle libertà negate.
Il Forum che si è svolto non si è concentrato in modo specifico sul cinema indipendente, quanto sull’indipendenza di chi vuole ragionare sul cinema e sul sistema che lo regola.
Per questo si è scelto di non cercare connotati di sigla o apparentamenti classici e si è preferito rischiare aprendo un percorso di confronto aperto che ha vissuto il suo primo momento di iniziativa sul campo.
Si è trattato quindi di una tappa decisiva in controtendenza rispetto alle solite manovre di vertice, semplificative nel merito dei problemi da affrontare e demagogiche nello sviluppo delle tesi e delle proposte.
Se di indipendenza si parla, è bene tirarla fuori coerentemente grazie a processi che rispecchino il senso di questo termine e il lavoro portato avanti in Rete, in modo orizzontale e paritario, deve realizzarsi attraverso le tappe obbligate della discussione e della collegialità che a partire da questo incontro dovranno essere realizzate in tutta Italia, libere da nocive gerarchie e leaderismi di vario genere. Il verticismo italiano ha prodotto crisi istituzionali, crollo dei partiti e morte della cultura.
La partecipazione dal basso, la cooperazione e la creazione di strumenti inclusivi ci permetteranno invece di ricostruire un tessuto sociale, economico e culturale in grado di riprendere in mano riferimenti e indirizzi che ci restituiranno la consapevolezza di poter avanzare verso un futuro migliore.
Si parla spesso di meritocrazia come metodo che garantisca un accesso equo e produttivo. Il valore umano, il valore lavoro e il valore delle relazioni professionali all’interno del mondo del lavoro sono gli elementi essenziali per riconoscere innanzitutto l’identità e gli indirizzi della progettazione esistenziale legata alle attività che svogliamo e ai ruoli che ricopriamo e a ciò a cui sono rivolte le nostre legittime ambizioni.
Il merito non può che poggiare su un’architettura concepita sulla base di questi riferimenti, perché non potranno essere le commissioni valutative e gli organismi giudicanti a poter stabilire consistenza e validità di un qualche merito, finché non verrà raggiunto un determinato ed evidente equilibrio di civiltà e di uguaglianza.

SteP
18 maggio 2013

Lascia un commento