Caro Rutelli,
con Barbie non si va lontano

Sono trascorsi 13 anni e sembra non averli nemmeno vissuti.
Era il 2010, il mondo del cinema, e non solo, si mobilitò contro i tagli al FUS inseriti in finanziaria. In quell’occasione venne occupato il tappeto rosso di Roma. Oggi rischierebbe di scatenare le ire della corposa setta dei selfie.

Il dibattito, a dire il vero, si svolse su binari molto retorici. Per capirci, furono portati avanti gli stessi argomenti dell’era Covid: la cultura, il bene comune, il petrolio della nazione (ma de che?).
Dopo 6-7 anni di confronti si partorì una Legge Cinema scritta dai padroni e accettata dai servi. Il dibattito nel frattempo non era intellettualmente decollato ma il settore era stato ampiamente foraggiato con incrementi di varie centinaia di milioni di euro. Quindi, tutto sommato, andava bene così.

È stato generato un luna park fatto di festival, eventi e di telefilm sul grande schermo. Un  mondo sempre più distante dalla realtà e dai processi storici e sociali in atto.
Il tutto vissuto in un ambiente arido di idee e capace di sopravvivere grazie alla relazione simbiotica e assistenzialistica con le Istituzioni.
L’offerta di film sempre più ristretta e alienante. Tanti cinema chiusi. Il pubblico cinematografico progressivamente scomparso.

Ma una giostra che ruota su un piano inclinato e poggia su un terreno marcio è destinata a rompersi.
Lo hanno capito in anticipo molte grandi produzioni che stanno vendendo i propri marchi ad acquirenti stranieri che come i predecessori nostrani continueranno a fregarsene altamente dell’italica cultura.
Resta in vita, si fa per dire, la galassia di produttori/appaltatori in perenne corteo di fronte a commissioni e altri burocrati di apparato.

Ora la protesta sta montando ma se anche volesse rievocare quel momento di bizzarro narcisismo collettivo di 13 anni fa, non riuscirebbe a raggiungere nessuna dimensione di coerenza e credibilità.
Troverà al massimo un paio di Piddini che provano a ottenere uno scampolo di visibilità grazie a questa ribalta, ma ormai sappiamo tutti che il PD non è mai soluzione ed è semmai un terribile problema di questo Paese.

I toni d’esordio di questa nuova scorribanda autoreferenziale testimoniano quanto sia diventato borghese, conformista e cinicamente corporativo il mondo del cinema. Quantomeno balneari, ristoratori e tassinari parlano di soldi senza attribuirsi indecifrabili meriti culturali.
Questa debolezza intellettuale ha prodotto una miriade di metastasi all’interno di un comparto che ha mangiato sé stesso e ha contribuito a creare nella società una sorta di siccità culturale i cui effetti stanno ricadendo soprattutto sulle giovani generazioni.

Rinviare ancora quel ragionamento di sistema che tarda da decenni sarà la funesta conferma che il cinema italiano vuole restare un territorio scollegato dalla storia e preferisce proteggersi in quanto isola socialmente decontestualizzata.

Lo stesso errore che fece la politica e non abbiamo più partiti né progetti e men che meno elettori.
Gli Anni ’90 sono finiti da un pezzo e per affrontare i prossimi dovremo diventare grandi.
Non abbiamo scelta.

Stefano Pierpaoli
24 ottobre 2023

Link correlati:
In ginocchio da te
Se il buongiorno si vede dal mattino
Prodotto, mercante di pubblico
Il vecchio disco di Tozzi
Tavolo di confronto in cerca di padre o madre

Lascia un commento