2. Il pensiero che si riflette

Coscienza, attenzione, introspezione

C’è un momento, fragile e potente, in cui il pensiero si accorge di se stesso. Si guarda allo specchio e si chiede: chi sta pensando? E perché? La mente si flette su di sé, come un’onda che si ripiega e si rompe

Coscienza: il mistero che pensa

Ci svegliamo ogni giorno in un mondo che ci appare familiare.
Eppure, da dove viene questa esperienza unificata, viva, colorata? Che cos’è, in fondo, la coscienza?

Per secoli, la filosofia ha cercato di definire questo misterioso “sentire interiore”. Le neuroscienze contemporanee tentano di mappare i correlati cerebrali della coscienza: quali reti si attivano, quali stati mentali scompaiono nel sonno profondo, sotto anestesia, nel coma. Eppure il nucleo dell’enigma resta: come fa un’attività neuronale, fatta di impulsi chimici ed elettrici, a produrre un’esperienza soggettiva?

È il cosiddetto hard problem della coscienza. Non sappiamo perché esista qualcosa come l’essere consapevoli, né perché il cervello non agisca semplicemente in modo automatico. E tuttavia, ogni nostro pensiero è immerso in questa luce invisibile: non pensiamo solo ma sappiamo di pensare.

La coscienza non è uno schermo passivo: è selettiva, interpretativa, attiva. Non vediamo il mondo com’è, ma come ci appare in quel momento, in quella condizione mentale, in quella storia personale.

Essere coscienti è il nostro modo di abitare la realtà e forse, di crearla.

Il tempo della mente

L’attenzione: la moneta della mente

In un mondo pieno di stimoli, ciò che scegliamo di guardare fa tutta la differenza.
L’attenzione è il filtro invisibile che decide cosa esiste, per noi. Eppure la trattiamo con leggerezza, come se fosse inesauribile.

L’attenzione non è una lente neutra: è un atto volontario e selettivo, ma anche fragile. Può essere catturata, distratta, manipolata. È una risorsa scarsa e proprio per questo è anche molto preziosa.

Le neuroscienze cognitive mostrano che l’attenzione agisce già prima della coscienza: seleziona gli stimoli che avranno accesso alla nostra consapevolezza. Ma non solo, l’attenzione modula il pensiero stesso. Quello che non guardiamo, non lo pensiamo. Quello che non pensiamo, non esiste.

Ecco perché oggi, nell’era della sovrastimolazione, allenare l’attenzione non è solo un esercizio mentale: è un gesto etico e politico. Ogni giorno decidiamo, spesso senza accorgercene, dove mettere la nostra mente. Dove lasciarla andare.

Forse dovremmo cominciare a chiederci: a cosa sto prestando attenzione? E perché?

Il sé che osserva

C’è qualcosa di vertiginoso, perfino inquietante, nella frase: “Io penso a me che penso.”
È qui che nasce l’introspezione: lo sdoppiamento cosciente del pensiero su se stesso. Un gesto profondamente umano, eppure ambiguo, instabile, talvolta pericoloso.
L’introspezione ci apre a una parte più intima di noi, ma non ci consegna una verità nuda. I sentimenti, i ricordi, le intenzioni che “scorgiamo” dentro di noi sono spesso costruzioni, racconti retroattivi plasmati da linguaggio, cultura, aspettative.

Il sé non è un oggetto che troviamo per caso, è una storia che raccontiamo e che si riscrive continuamente. Ogni volta che ci volgiamo all’interno, troviamo un volto diverso: più maturo, più ferito, più consapevole o più confuso.
Talvolta, il sé sembra dissolversi, non lo afferriamo o ci fa paura. E in quell’istante avvertiamo una vertigine: breve, silenziosa eppure assoluta.
Allora, istintivamente, cerchiamo una via di fuga: una distrazione, uno stimolo, un sollievo. E chiediamo alla dopamina, la messaggera del rapido piacere, di tenerci a distanza da quella domanda vorticosa: “chi sono io, davvero?”

Eppure, nonostante tutto, la capacità di guardarci resta uno dei nostri doni più rari. È ciò che ci permette di cambiare, di uscire dal pilota automatico, di scegliere chi vogliamo essere.

Non siamo solo pensiero. Siamo anche il luogo da cui quel pensiero viene osservato. Ed è in quello spazio sottile, fra il pensare e l’essere, che può nascere la voglia di raggiungere la libertà.

Il pensiero che si complica

Pensare a se stessi è anche una trappola.
Più pensiamo a ciò che pensiamo, più rischiamo di perderci: ruminazioni, ansie, paralisi dell’analisi. Non tutti i pensieri aiutano. Alcuni soffocano, altri confondono.

La mente umana ha una straordinaria capacità di astrarre, riflettere, simulare. Ma questa stessa potenza può diventare carico mentale eccessivo, rimuginio sterile, loop emotivi. Pensare troppo è possibile ed è una delle grandi fragilità dell’animale riflessivo che siamo.

In molte tradizioni contemplative, il pensiero eccessivo viene visto come un velo, un rumore che ci separa dal presente. In psicologia contemporanea, si parla di “defusione cognitiva” che è la capacità di disidentificarsi dai propri pensieri, riconoscendoli come eventi mentali, non verità assolute.

Il pensiero che si riflette su se stesso può illuminare. Ma può anche oscurare. La vera sfida è distinguere il chiarore dall’abbaglio.

Pensare bene è anche sapere quando fermarsi. O quando passare dal pensiero all’ascolto.

Stefano Pierpaoli
24 maggio 2025

Il viaggio nel pensiero

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