6. Pensiero nell’era digitale
mente e conoscenza tra algoritmi e connessione
In questo nuovo paesaggio, il pensiero non è scomparso. Ma è cambiato.
Le condizioni in cui nasce, si sviluppa e agisce sono state trasformate dalle tecnologie dell’informazione
La mente sotto pressione: attenzione e velocità
Come è emerso in molti punti toccati, la nostra attenzione è costantemente sollecitata da notifiche, messaggi e contenuti multimediali. Un incessante sovraccarico informativo che frammenta la capacità di concentrazione e ci trasforma in soggetti versatili. Efficienti in una perenne e inutile serie di sovrapposizioni.
La tecnologia favorisce il “pensiero veloce” descritto da Kahneman[1], intuitivo ma spesso superficiale, a scapito del “pensiero lento”, riflessivo e analitico.
Abbiamo ceduto a terzi la nostra memoria. Ora è affidata a motori di ricerca e cloud. Le piattaforme digitali filtrano e selezionano le informazioni, creando bolle per rafforzare convinzioni e limitare la varietà delle idee.
Siamo alla vigilia di una rivoluzione sconvolgente che modificherà i processi operativi ed elaborativi. C’è però un atteggiamento confuso e spesso rassegnato nei confronti della cosiddetta intelligenza artificiale. Sappiamo che offrirà strumenti potenti, ma ci addentriamo con uno slancio quasi devozionale, accettando di delegare senza davvero comprendere cosa, e a chi. Oscillando tra “culto tecnologico” e “sottomissione culturale” c’è il rischio sempre più concreto di finire ingoiati in un gorgo fatto di condizionamento e controllo.
L’era digitale non è priva di opportunità. Il pensiero ipertestuale ci potrebbe consentire di esplorare conoscenze in modo non lineare, mentre la collaborazione online può senza dubbio favorire la costruzione collettiva del sapere. L’integrazione di testi, immagini e suoni è in grado di arricchire la nostra espressione cognitiva.
Dobbiamo però uscire dalla retorica della “democrazia della rete” perché su questo crinale si è determinato uno scenario totalitario e oppressivo. Doveva avvicinarci e invece ci ha reso esclusi, soli e privi di direzione.
La sfida è bilanciare queste innovazioni con la necessità di mantenere profondità, consapevolezza e spirito critico nel nostro modo di pensare.
[1] Daniel Kahneman, Thinking, Fast and Slow (2011). Psicologo e premio Nobel per l’economia, ha descritto i due sistemi del pensiero umano: uno veloce, intuitivo, automatico (Sistema 1) e uno lento, riflessivo, analitico (Sistema 2).
Pensare in nuovi modi: digitale come spazio creativo
Non tutto è perdita. L’era digitale ha anche creato forme nuove di pensiero.
- Il pensiero ipertestuale che è un modo di navigare la conoscenza che rispecchia più da vicino come funziona davvero il cervello: per connessioni, analogie, improvvise illuminazioni. Ogni link è una sinapsi artificiale, ogni click un salto cognitivo che può portarci in territori imprevisti.
- il pensiero collaborativo. Wikipedia, open source, intelligenze connesse che costruiscono insieme qualcosa che nessuna mente individuale potrebbe concepire. Una forma di intelligenza distribuita che ricorda gli sciami, le reti neurali, i sistemi complessi. Migliaia di persone che non si sono mai incontrate lavorano sullo stesso progetto, correggendosi, completandosi, evolvendosi insieme
- il linguaggio espanso. Video, immagini, meme, podcast: la mente contemporanea pensa anche in forma visiva, sonora, sintetica. Riferimenti che condensano idee complesse in una sintesi immediata e virale. È una grammatica diversa che potrebbe riportarci a forme di comunicazione più ancestrali, più vicine al pensiero per immagini
- il pensiero in tempo reale. Quello che nasce e si condivide subito. Nei social media, nei live stream, negli scambi rapidi tra menti connesse. È fragile, superficiale, reattivo, emotivo. È intensamente vivo. Può sbagliare molto, ma potrebbe anche attivare comunità di senso, mobilitare energie collettive, far nascere movimenti che cambiano il mondo in poche ore.
L’errore, che faticheremo a risolvere, è stato quello di accogliere queste straordinarie opportunità partendo dalla fine. Abbiamo assunto il “partner digitale” in quanto compagno di viaggio imprescindibile e lo abbiamo innalzato a soluzione inalterabile. Chini di fronte al suo potere, non siamo stati in grado di proteggere i nostri luoghi umani da un’invadenza che sarebbe diventata dominio, controllo, dipendenza. Arretravamo nelle nostre esistenze e perdevamo territori di cui eravamo sovrani. Nel frattempo lasciavamo che un dispositivo tecnologico, un nuovo linguaggio o una zona franca di rappresentazione s’impadronissero del nostro tempo e dei nostri codici.
La mente funziona per emozioni, sentimenti, percezioni non schematizzabili. Tutti fattori che il Web non può contenere. Però può semplificarli attraverso un algoritmo e funzionalizzarli in relazione a obiettivi di percezione della realtà al servizio del mercato e del consenso.
Dovevamo proteggere gli strumenti di non-contaminazione interiore, culturale e intellettuale e per fare questo, continuare a lottare nei processi di emancipazione e integrazione. Avremmo in tal modo tutelato quel patrimonio emotivo e sentimentale che non è mai scontato né garantito.
Il digitale non ha solo accelerato il pensiero: lo ha reso più plastico, più sociale, più multimediale. Ma la sfida è imparare a navigare questa ricchezza senza perdere la bussola della profondità.
Siamo nudi, deboli e smarriti alla vigilia di una tempesta che potrebbe non essere per forza un disastro.
Dobbiamo però reimparare a tracciare le rotte della nostra esistenza.
Stefano Pierpaoli
24 maggio 2025
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